mercoledì 27 marzo 2013

Le Miroir (Lo specchio) - 5^ episodio: Nel Profondo

(riprende dal 4^ episodio)

Tante sono le cose che non ci si aspetta di trovare quando si entra per la prima volta in un locale. Tra queste, il buio è senz'altro una delle prime. Che poi dal buio si diffonda una voce che ti accoglie con un “ben arrivato”, è una stranezza alla quale ormai si tende a non far troppo caso, annoverandola al solo scopo statistico tra le innumerevoli bizzarrie che ormai in questa vicenda hanno acquisito tutti i crismi della normalità. Certo, il buio che ti coglie all'improvviso ti disorienta, ti fa perdere il senso dello spazio e blocca la capacità di muoverti con sicurezza, ma quella voce gentile che dolcemente ti saluta, d'altro canto, ti tranquillizza e affievolisce l'istinto meccanico di annaspare con le mani nel buio a cercare la maniglia della porta di ingresso per farla diventare la maniglia della porta d'uscita. Quando poi il cigolìo dei cardini della vecchia porta della stiva di un antico relitto, aumenta di volume e culmina in un secco ed ermetico “clac”, ti accorgi che quella voce seduttrice ti ha definitivamente sottratto il tempo che avevi per decidere di squagliartela. Nel buio, ora invaso dal silenzio, cerco di fare amicizia col senso di smarrimento e di angoscia che si stanno impadronendo della mia mente; lo faccio nel modo per me più classico, e cioè gettandomi nel ridicolo, commettendo quella che si dice una “gaffe”. Rompo il silenzio: “c'è qualcuno?”, la mia improvvida voce spara nell'oscurità. La risposta arriva non dall'esterno, ma dal più fulmineo dei pensieri che la mia mente, lì per lì, riesce a produrre, e che è spietato: “Certo che c'è qualcuno, pirla!!! Ti hanno anche salutato, avresti potuto ricambiare quel saluto, anziché uscirtene con domande idiote!!!”. La mia mente, quando vuole, sa essere perspicace e critica al tempo stesso.
Ma ormai la “gaffe” è andata, posso solo sperare che passi inosservata. Non è così.
Dall'esterno risuona la stessa voce che poco prima mi aveva accolto, quasi con le stesse parole: “Naturalmente c'è qualcuno. Ben arrivato a Le Miroir, vuoi entrare?”.
La prima parte della risposta mi giunge alquanto sarcastica, la domanda finale invece mi lascia un po' allibito perchè ero convinto di essere già entrato, ma se non altro pare riveli l'intenzione di instaurare una conversazione. Decido di affrontare il dialogo, non senza rischiare una mia seconda gaffe: “non è che non voglia entrare, è che non saprei come uscire”. Stavolta la mia mente si astiene da qualsivoglia commento, anche perchè arriva prima la risata della voce seduttrice: “ahahahah!!! Ma certo, hai bisogno di vedere!!!”.
Improvvisamente il buio viene trafitto dalla luce arancione di una vecchia lampada ad olio. Non è una luce molto chiara, ma è sufficiente per mostrarmi almeno i contorni dell'ambiente in cui mi trovo. La prima cosa che noto e che mi lascia più disorientato del buio, è che in questa stanza sono da solo, e che la voce che mi parla, dunque, proviene da fuori. La lampada che ha infranto il buio è appesa al centro di una delle quattro pareti della stanza, che è piccolissima, ad occhio direi due metri per tre; sulla sinistra una porticina, dentro la quale si vedono degli scalini che scendono, sulla destra un'altra porticina, con degli scalini che salgono. Ai lati pareti senza aperture, così come lo è il soffitto. Dietro di me la parete con la porta dalla quale ero entrato, ma quella porta è solo disegnata sul muro ...è finta. Non avevo mai provato prima la sensazione di stare in una stanza senza esservi mai entrato, ma non è il momento di analizzare questa ennesima stranezza: devo capire da dove viene la voce che mi parla. “Dove sei?” chiedo alla voce nascosta, che ribatte: “Se vuoi entrare devi scendere, altrimenti puoi uscire da qui salendo le scale”. Ora riesco a percepire chiaramente che la voce viene da una delle due porticine: quella con le scale che scendono. La voce continua: “Se esci da qui, potrai continuare a cercare altrove la tua rotta, Le Miroir non ti verrà più a cercare. Se scendi troverai la rotta che cercavi, ma non sarà quella che credevi di trovare”. Non sono mai stato bravo a risolvere rompicapo e ad “indovinare” le risposte degli indovinelli, ed è proprio per questo motivo che mi affascinano. Così come mi affascina quella dolce voce nascosta, al cui mistero non riesco ad opporre resistenza. Prendo la porticina a sinistra, scendo i gradini, non più di una ventina, di una scala a spirale che mi conduce in un'ampia stanza illuminata da una decina di lampade, simili a quella dello stanzino al piano superiore, completamente priva di arredamento, fatta eccezione per un bancone stile reception d' albergo, sistemato al lato opposto alla scala.
Ormai le sorprese si succedono ad un ritmo talmente frenetico che non mi fa nemmeno impressione scoprire che da dietro il bancone, fonte della dolce voce seducente, ad attendermi c'è proprio lei: l'incredibilmente affascinante hostess, nonché capofila di “serpenti umani”, che avevo incontrato a Parigi, e che mi aveva consegnato l'indirizzo di Le Miroir. Credo ai miei occhi (e direi che mi conviene), e decido di trasmetterle i sensi della mia ammirazione nel modo che mi potrebbe valere il Premio Nobel per le gaffes: con un'aria che potrebbe ricordare Woody Allen quando imita Humphrey Bogart, mi avvicino al bancone, e di fronte al suo indescrivibile sorriso le porgo un mio: “Toh, chi si rivede... come mai da sola, oggi?”. La sua (non) risposta consiste nel contrarre leggermente i muscoli attorno alle labbra, segno evidente di chi non vuole che un sorriso di cordiale benvenuto si trasformi in una risata di scherno. La mia (non) controrisposta si estrinseca nel camaleontico mutare del colore del mio viso, diventato probabilmente di un colore più acceso dell'arancione delle lampade ad olio che illuminano quell'ameno luogo, mentre i miei occhi si affrettano a dirottare lo sguardo verso il basso. La mia interlocutrice lascia, molto saggiamente, lievitare in me il senso d'imbarazzo per qualche lungo istante. Il tempo necessario per farmi riprendere, dopo la sarabanda di gaffes nelle quali mi sono esibito quasi senza accorgermene, come fossero dettate da uno schema meccanico che mi impediva di rendermi ben conto della situazione nella quale mi trovavo. Il silenzio dilaga per altri lunghissimi istanti. Poi, quasi avesse letto dentro i miei pensieri con la facilità con la quale si leggono le istruzioni di montaggio di una lampadina, l'ammaliante hostess riprende il filo della conversazione: “Sei giunto fin qui quasi senza rendertene conto, infatti è solo così che puoi trovare un posto come questo. Non ti preoccupare per le figuracce che hai fatto: la tua mente cosciente è in agitazione per quello che sta per conoscere”.
Ascoltare qualcuno mentre legge i tuoi pensieri proprio nel momento in cui questi passano per la tua mente, può essere un'esperienza mistica. C'è un che di inquietante, invece, nel capire che chi ti sta leggendo i pensieri conosce anche quello che sta per succedere. Decido di farmi sentire: “Cos'è questo posto? Come fai a sapere quello che sto pensando? Chi sei tu?”.
Il suo sorriso si apre come la più bella rosa di maggio, con l'evidente intento di lasciarmi interdetto, mentre con le note più suadenti che abbia mai sentito pronunciare da voce umana, mi risponde “Non ti posso dire niente, per ora. Tranne che sei qui perchè vuoi trovare la tua rotta, e io te la farò scoprire. Ma per far questo dobbiamo andare nel Profondo. Devi seguirmi”.
Le vorrei spiegare che io la seguirei volentieri anche all'inferno, ma sicuramente lei lo avrà già letto nei miei pensieri, quindi non spreco fiato e fisso il mio sguardo sulle sue spalle, che lei mi ha rivolto per mostrarmi che dovrò star dietro a quelle, mentre lei mi accompagnerà giù per degli altri scalini, che stanno dietro una porta che io non avevo ancora notato essere a fianco del bancone della reception, unico arredamento della stanza dalla quale stavamo per uscire. I gradini che stiamo scendendo sono al buio, segno che sono parecchi. Per un attimo mi chiedo come possa esistere un luogo così complesso dentro un relitto di un'antica nave. Ma forse è l'ultimo contatto con la realtà così come l'avevo conosciuta fino a quel momento, perchè la voce di quella misteriosa affascinante creatura mi annuncia: “Ora basta con le domande inutili. Ora andiamo nel Profondo. Giù, nel Profondo”. Ovviamente io non capisco, ma la seguo. Capire le cose, a quanto pare, non è più un compito che mi riguarda. Non so cosa mi stia aspettando, né dove sono, né chi sia quella bellissima creatura che mi sta portando, ma so che devo andare giù, nel Profondo.

(fine quinto episodio)

Marco Bertelli

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