(riprende dal 5^ episodio)
Non capita di frequente dover scendere
delle scale nella completa oscurità. Prima d'ora, avrei pensato
fosse normale farlo per raggiungere qualche vecchia cantina, per
cercare qualcosa di antico, caduto nel dimenticatoio. Un ricordo
d'infanzia, qualcosa che era appartenuto agli avi della famiglia, e
che ora, chissà perchè, aveva catturato la curiosità e aveva
acceso improvvisamente la voglia di andarlo a riscoprire, in mezzo a
tante altre cose dimenticate. La situazione nella quale mi trovo è
decisamente diversa da quella che può essere paragonata ad una
discesa in cantina, eppure la sensazione che mi accompagna è proprio
quella della curiosità di andare a riscoprire qualcosa di antico e
prezioso che avevo dimenticato, per riprenderne il possesso.
Il rumore dei passi che scendono gli
scalini sono l'unico legame con la realtà che la mia mente riesce a
percepire. Il resto è paradossale. Mentre scendo, anziché avvertire
più gravità, sento rarefarsi l'aria, proprio come mentre si sale di
quota verso la cima di una montagna, e tutto mi sembra più leggero.
Mentre la sensazione di curiosità che mi pervade mi invita ad una
discesa più veloce, i miei passi rallentano.
Mentre la mente è in evidente affanno,
perdendo via via ogni appiglio con ciò che considera reale, da una
parte di me più nascosta, arriva l'impulso di continuare in questa
irreale discesa nel profondo. La mia bellissima guida mi precede, e
questo mi basta.
Non ho idea di quanto tempo sia
trascorso da che ho cominciato a scendere questi scalini, ma il tempo
è un problema che riguarda solo la parte razionale di me, che sento
sempre più distaccata.
Una luce blu, soffusa, appare
all'improvviso: si materializza una stanza, un ambiente nuovo mi
avvolge. Al centro si trova un tavolo da riunioni, tondo, con due
poltrone, una opposta all'altra. Le pareti che irradiano la luce blu
che ora appare molto più acceso, sembrano di cristallo e circondano
tutta la stanza, anch'essa tonda. La cosa che mi colpisce, è che non
riesco a scorgere il soffitto, che sembra fatto di sola luce. Una
luce bianca che, stranamente, non si riflette né si mescola col blu
intenso che avvolge e colora l'ambiente, dando un suggestivo senso di
infinità allo spazio in cui mi trovo, che potrebbe definirsi una
stanza a cielo aperto.
La mia guida mi invita ad accomodarmi
su una delle poltrone. Mi siedo, mentre lei rimane in piedi di fronte
a me.
Io, che ormai ho perso la mente fatta
di realtà, trasportato da non capisco quale forza in un luogo
meravigliosamente irreale, non riesco più nemmeno a porre le domande
che, in questo frangente, sarebbero le più ovvie: “Dove siamo?
Perchè siamo qui? Cosa succede ora?”.
Lei, che sembra conoscere esattamente
tutto quello che si muove nella mia mente persino a mia insaputa,
risponde a ciò che non riesco a chiedere:
“Siamo ovunque, e in nessun posto. So
che ti sembrerà irrazionale, magari fantascientifico, ma questo è
il luogo che ti sei costruito tu, dentro te stesso, e che hai voluto
rendere reale nel momento in cui hai deciso di intraprendere questo
tuo viaggio per trovare qualcosa che credevi di aver smarrito: quella
che tu chiami la rotta. Questo luogo esiste solo perchè la parte più
profonda di te aveva la necessità di creare all'esterno ciò che la
tua mente non riusciva a percepire al suo interno. Ti trovi dentro di
te, e questa non è altro che la meta del tuo viaggio. La tua
razionalità, il tuo intelletto, la tua mente insomma, non erano
capaci di crearlo mentre stavi seduto al bar di provincia, quando hai
sentito il desiderio di partire da là. Così hai creduto di dover
viaggiare, o salpare se preferisci, visitare città, osservare posti
e persone, vivere situazioni normali e paradossali, provare
sensazioni piacevoli e spiacevoli; ma tutto quello che hai vissuto
durante questi giorni altro non era che il progressivo compiersi del
tuo vero intento, ovvero trovare fuori da te stesso qualcosa che è
in te stesso. Materializzare questo luogo era un tuo desiderio
nascosto che la tua mente non sapeva decifrare e tradurre in realtà,
perciò sono serviti paradossi, sorprese, anomalie della realtà per
realizzarlo”.
Mentre quella bellissima creatura mi
parla, mi rendo conto che accettare come vere quelle cose, che sino a
poco prima avrei interpretato come assurde, è assai meno faticoso
che bere un bicchier d'acqua quando la sete ti ha arso la gola. E'
come se da dentro emergesse una parte di me nuova, sconosciuta, che
non vede nulla di paradossale; si rivela con forza alla mia mente,
che ne viene invasa e annullata.
Mi è perfettamente chiaro che la
realtà che mi si para davanti in questo momento è esattamente come
un film di cui io sono il protagonista, lo sceneggiatore e il
regista: sino a poco prima ero troppo impegnato a recitare la mia
parte e non me ne rendevo conto. Questa nuova rivelazione che si fa
strada sempre più dentro di me, non tarda a dar conferma di se' e a
manifestarsi anche alla mia vista: le pareti della stanza che
irradiavano la luce blu, improvvisamente, cominciano a proiettare
immagini, sembrano proprio scene di un film. Sono immagini, scene che
già conosco. Sto assistendo alla proiezione della mia vita. Mi vedo
recitare tutti i ruoli che ho interpretato da che ho posseduto questo
corpo: l'infanzia, la scuola, il lavoro; la famiglia, gli amici, gli
affetti; le gioie, i dolori; i successi e il “naufragio”, che mi
ha condotto qui, seduto su una poltrona che, se la guardassi bene, mi
accorgerei che reca sullo schienale la scritta “regista”. Come
cineasta, non posso che constatare la perfetta qualità del film: è
tutto perfetto, dalla sceneggiatura agli interpreti.
Mi compiaccio di vedere come tutta la
storia, la mia, non abbia nulla che non vada: non ci sono scene da
correggere, cattive recitazioni da “rigirare”. Prima, quando
credevo di essere solo “attore”, pensavo che molte cose non
fossero al loro posto: scenografie indesiderate, attori non
all'altezza del loro ruolo. Tante cose da rivedere, da cambiare. Ma
non può essere l'attore a decidere la storia: sono lo sceneggiatore
ed il regista che stabiliscono ambientazione, dinamiche della storia,
copione da recitare, co-protagonisti, interpreti secondari,
caratteristi e comparse. Ora che so di ricoprire anche queste
mansioni, me ne rendo conto.
Le immagini che scorrono sulle pareti
della stanza stanno mostrando le ultime scene della storia, sono
arrivate al momento presente, quando mi vedo qui, seduto su questa
poltrona in una stanza blu a cielo aperto. Ora le pareti tornano ad
irradiare la luce blu, ma oltre a quella, come uno specchio
proiettano anche la mia immagine, che è la sola cosa che vedo
attorno a me. La mia bellissima guida, che mi ha condotto qui, si è
improvvisamente dissolta nel nulla, ma continuo a sentire la sua
presenza, e la sua voce: “Questo è Le Miroir: lo specchio di
quello che sei. Ora hai conosciuto la parte profonda di te, quella
che fa accadere le cose e che ti aspettava qui, e cioè ovunque e in
nessun posto”. Dopo una pausa, riprende: “Ora, caro naufrago,
quella parte di te si materializzerà e si verrà a sedere di fronte
a te: la conoscerai di persona e vi parlerete, io ora vi lascio”.
So che forse non la sentirò più,
forse non la vedrò più, ma ho la certezza di non averla persa.
Ora mi avvolge il Silenzio, l'immagine
di me stesso, proiettata di fronte a me, lentamente si dissolve,
mentre sale l'intensità dell'emozione di conoscere chi si siederà
al mio cospetto.
(fine sesto episodio)
Marco Bertelli