lunedì 28 luglio 2014

LO SPECCHIO CONVESSO - di Franco Galvani seconda ed ultima parte







(Prosegue dalla prima parte)

Con gli insegnanti la situazione era migliore tranne che con la professoressa di matematica Donatella Zanara e quello di educazione fisica Vittorio Dallacqua.
Zanara era una zitella prossima alla pensione, dico zitella perché incarnava tutte le caratteristiche che si attribuiscono al termine: magra, alta, mento e naso prominenti, vestita come mia mamma quando era ragazza e un odio sviscerato verso gli uomini, quegli uomini che non l’avevano mai amata, forse per una sua incapacità o forse perché non aveva mai incontrato quello giusto se mai fosse esistito.
La parola single indica qualcosa di diverso, si è single per scelta o perché la vita ha portato a esserlo comunque, una persona single si crea un’esistenza che poi difficilmente riesce a condividere con qualcuno e spesso non la vuole cambiare. Essere zitella è una costrizione.
Non capivo niente di matematica e le interrogazioni erano un supplizio come pure le verifiche. Zanara mi chiamava “signor pastasciutta”, una cosa impensabile oggi; se un insegnante usasse un linguaggio del genere rischierebbe quantomeno l’allontanamento, ma erano altri tempi. I miei ne erano dispiaciuti ma potevano fare poco, vivevo in un ambiente dove la parola e il giudizio di un insegnante non andava contraddetto e forse nemmeno capivano, sì perché un bambino non è mai grasso agli occhi di certe mamme, nel peggiore dei casi è robusto, un eufemismo che non sopporto ancora adesso, poi bisogna mettere in conto la soddisfazione nel vedere un figlio che mangia per dei genitori che appartengono a una generazione che ha conosciuto la fame.
Verso la fine della seconda media, al termine di una brutta interrogazione Zanara mi disse:
“ Signor pastasciutta, farò in modo che ti boccino, ma se ciò non dovesse succedere ti lascerò nel tuo brodo”.
Fu il primo sentito, sincero e liberatorio vaffanculo che mormorai sottovoce tornando al mio posto.
Su un muro nel cortile della scuola c’era scritto: Dallacqua fascista, non fui io a scriverlo, non ne sarei stato capace, tantomeno sarei arrivato a pensare una frase del genere, però la condividevo in pieno. Non so se quell’insegnante di educazione fisica fosse un atleta fallito o un militare radiato per qualche strano motivo, di sicuro ricordo le sue urla che rimbombavano nella palestra. Era un uomo basso, dall’aspetto tozzo e calvo e forse chi fece quella scritta pensò anche alla sua mascella prominente oltre che ai suoi metodi. In palestra riuscivo più a meno a essere all’altezza degli altri se si trattava di fare una corsa di resistenza o certi giochi di squadra, andava peggio con la corsa di velocità ma il mio incubo era la pertica. Tutti riuscivano a salire lungo quell’odiato tubo rosso, arrivavano in cima, toccavano la staffa che lo teneva ancorato alla parete e poi lentamente scendevano, ci riuscivano tutti tranne me.
Dopo qualche penoso tentativo rinunciavo; allora Dallacqua allungava un braccio verso di me e tuonava:
“ Non riesci ad alzarti nemmeno di un palmo ! ”
Non ebbe mai la sensibilità di evitarmi questo esercizio e in quei momenti, assieme all’umiliazione che provavo nell’abbracciare la pertica senza riuscire ad arrampicarmi davanti a tutta la classe, incominciava a nascere in me il pensiero che di sicuro doveva esistere qualcosa in cui ero migliore di loro e dovevo fottermene, si fottermene dei loro commenti e delle loro risate perché “ non dare importanza “ era un termine troppo lieve per descrivere il mio stato d’animo e un giorno saranno stati loro a invidiare me.
Fui bocciato e ripetei l’anno in un'altra scuola. Le cose stavano cambiando, non solo perché finii le medie con un distinto che sorprese e riempì d’orgoglio buona parte della famiglia, ma soprattutto perché mia nonna, durante l’estate che precedette la prima superiore, si stancò di vedermi così grosso e indolente.
Un giorno, senza nemmeno chiedermi un parere, mi mise a dieta; fu una dieta faticosa, presa forse da qualche rivista e prevedeva solo petti di pollo, fagiolini, mele e tanta acqua. Quella che è chiamata l’età dello sviluppo mi aiutò e cominciai le superiori che ero un’altra persona.
Non sono stati anni belli quelli della mia pre adolescenza, però in tante cose recuperai, ad esempio alle superiori vinsi il confronto con la pertica, nelle partite di pallone il calcio d’inizio lo decideva la monetina e i rapporti con gli altri migliorarono notevolmente. Di sicuro quegli anni difficili mi insegnarono molte cose.
Una persona che è stata grassa non si vedrà mai magra, anche quando avrà perso metà dei chili, nemmeno quando potrà indossare subito un abito nuovo senza portarlo tutte le volte in sartoria per qualche modifica, nemmeno quando qualcuno gli dirà:
” Sai che stai proprio bene, come hai fatto ? Devo mettermi a dieta anch’io “
L’ex grasso lo guarderà e penserà che se un tempo fosse stato come lui non avrebbe mai fatto nulla per cambiare il suo aspetto.
Una persona che è stata grassa, quando si mette davanti allo specchio, continua a vedersi grassa, ha di se un’immagine distorta, come se si trovasse davanti ad uno specchio convesso, una deformazione che è dentro di se e lo accompagnerà per sempre.

Franco Galvani

domenica 27 luglio 2014

LO SPECCHIO CONVESSO - di Franco Galvani prima parte


Una persona grassa lo sarà per sempre, continuerà a vedersi e sentirsi grassa anche dopo diete estenuanti, dopo centinaia di ore trascorse in palestra ed anche quando avrà perso metà dei suoi chili non si sentirà mai magra, con un fisico normale come quelli che ha invidiato per anni.
Una persona grassa è quella che abbassando lo sguardo vede due colline: il petto e oltre, ancora più evidente, il ventre, due colline che non gli consentono altra visuale, per guardare la fibbia della cintura e la punta dei piedi dovrà mettersi davanti allo specchio, quello specchio che lo accompagnerà per sempre come uno spietato antagonista di tutta una vita.
Una persona grassa sentirà rivolgersi sempre le stesse battute:
“ Ciao, hai messo su l’airbag? “
Oppure
“ Hei, si fa prima a saltarti che girarti intorno “.
Da adulto è possibile farsi una ragione di questo stato di cose, alcuni si creano una personalità legata al proprio fisico, riescono ed essere esteticamente interessanti e piacevoli ma solo i più forti ci riescono, gli altri, quelli che non ce la fanno fingono di non dare importanza alla cosa ma dentro di se continuano a invidiare coloro che per il loro fisico sembrano disinvolti in qualsiasi occasione, non soffiano come mantici facendo le scale o percorrendo una salita e non si coprono di sudore al minimo sforzo.
Una persona grassa è sempre sudata e ingombrante in ogni situazione perché si muove e agisce per quello che è.
Per lui vestirsi non è facile, vorrebbe essere come i magri che stanno bene con qualsiasi cosa indossino, dall’abito da cerimonia ai jeans strappati e una maglietta consunta, un grasso finisce sempre col vestirsi da grasso.
Le chiamano taglie forti, forse perché le cuciture devono sopportare tensioni maggiori di quelle degli abiti di taglia normale.
Un grasso si veste come un grasso, indossa vestiti sempre un po’ stretti come se questo lo facesse apparire migliore, la cintura dei pantaloni affonda nei fianchi evidenziando una specie di salvagente che cinge il corpo, i bottoni della camicia possono saltare via come proiettili solo con un respiro più profondo mentre la giacca riproduce impietosa le fattezze che ricopre. Durante l’inverno si sente tranquillo, come se maglione e piumino nascondessero ciò che è ma l’estate, quando deve mettersi a nudo, è una tortura. Deforma una maglietta già larga prima di indossarla perché sia ancora meno aderente, poi ci sono i pantaloncini che lo fanno stare fresco ma dai quali escono due gambe che camminando strisciano tra loro e a sera sono rosse e irritate nella parte interna come se fossero state su una graticola.
Un adulto spesso si rassegna, la sua costituzione è questa, lo è sempre stata e sempre lo sarà oppure in gioventù ha avuto anche un fisico atletico poi nel corso degli anni per pigrizia o stile di vita è cambiato e gli va bene così.
Essere grasso da piccoli come lo sono stato io è tutta un’altra cosa.
Incominciai a prendere peso intorno ai sei anni, all’inizio non diedi importanza a questa cosa, arrivai alla quinta elementare senza sentirmi diverso dagli altri, avevo una compagnia di amici con i quali mi ero inserito abbastanza bene, forse perché eravamo un gruppo parrocchiale e il prete predicava l’accoglienza o forse perché avevo trovato degli amici comprensivi, però rimanevo sempre in seconda fila, non sono mai stato un leader per una questione di carattere certo ma l’aspetto non mi aiutò. Nei giochi in cui bisognava correre spesso mi escludevo e nelle partite a calcio io ero il “ campo e palla “ ovvero la scelta della parte di terreno di gioco da dove cominciare la partita e la concessione del calcio d’inizio, una specie di benefit concesso alla squadra con un elemento non molto capace.
Verso i tredici anni incominciai a guardare le ragazze in modo diverso, non erano più soltanto compagne di giochi, i primi baci in qualche angolo o camminare tenendosi per mano erano cose impensabili per me, in certi momenti mi sentivo invisibile così capii che dovevo darmi una mano di vernice bella evidente e c’erano due metodi per farlo: diventare simpatico facendo ridere senza sembrare troppo un buffone oppure diventare intelligente parlando di problemi esistenziali con aria tenebrosa. Queste tecniche non sono la soluzione del problema, però aiutano.
Gli amici si scelgono, i compagni di classe no e trovarsi con una ventina di persone sconosciute non è facile per nessuno. A scuola, nei primi due anni delle medie non ero particolarmente brillante, le prese in giro per i brutti voti andavano ad aggiungersi a quelle per l’aspetto fisico, non riuscivo a entrare nei gruppi che si formavano all’interno della classe. Quando alcuni compagni si vedevano nel pomeriggio dopo la scuola non m’invitavano mai come pure alle feste di compleanno.
Un giorno parlando di questo con Nando, il fratello maggiore di un mio amico egli mi disse:
“ Picchia per primo e picchia forte “.
“ Ma non sono capace “ risposi
“ Tu picchia per primo e picchia forte “.
Qualche giorno dopo durante la ricreazione qualcuno fece una battuta, mi avvicinai a lui e con una spinta lo feci cadere a terra con una facilità che mi parve impossibile. Non ero particolarmente forte ma la mia massa fu sufficiente ad allontanare uno che pesava forse la metà di me. Stessa sorte toccò ad altri due che intervennero per difenderlo. Da quel giorno le battute su di me diminuirono notevolmente e pure il loro tono cambiò. Per quanto ricordo fu l’unica volta che usai la forza a scuola.

(continua)

Franco Galvani

giovedì 24 luglio 2014

Genova per me




                            

Un gomitolo inestricabile di viuzze che sembrano piovute giù da chissà dove.
O forse arrivate lì di corsa, come tanti bambini che si scapicollano giù da una salita, facendo a gara a chi arriva prima davanti al Mare; e sfiniti e confusi tirano il fiato e si volgono indietro, stretti l'uno accanto all'altro, ansimanti.
E guardano di nuovo su, in alto, increduli della strada lunga e ripida che hanno appena corso.
Viuzze buie e luccicanti di cuori che palpitano in tante lingue diverse, ma allo stesso ritmo regolare, inesorabile.
Viuzze tanto strette da desiderare di risalire per poi allargarsi, e dilatarsi, e diventare grandi e alte; e diventano piazze, viali, fontane, giardini: sembra vogliano riprendere fiato.
E sempre accatastate, ansimanti, raggomitolate e impenetrabili, salgono la cima dei monti e guardano di nuovo in giù, da dove erano partite, e tirano un po' il fiato.
Genova è un gomitolo di vie che si muovono su e giù, come la maestosa marea che li aspetta imperterrita ai suoi piedi, e come le pendici dei monti che, genitori apprensivi, guardano e sorvegliano con infinito Amore i figli che corrono nell'inesplicabile, ridendo di sè, urlando, litigando, facendo Pace:
in questa maestosa trappola di Libertà che tutti sanno essere "Superba".


Marco Bertelli