Un altro viaggio in treno, stavolta per
una destinazione a me nuova. In questa cittadina che si affaccia
sullo Stretto della Manica, io non ero mai stato prima d'ora. Scendo
alla stazione con l'animo di colui che capita in un posto per caso,
un luogo che non aveva preventivato di visitare, anche perchè non è
meta di turismo. I turisti ci sono, in effetti, ma qui ci passano e
basta. Arrivano a Boulogne sur Mer per imbarcarsi su di un
traghetto che li porti dall'altra parte della Manica con una rotta
ben definita e certa. Io, invece, la rotta la devo trovare. I
turisti sono in possesso di un biglietto dove la rotta è già
scritta, io sono in possesso di un volantino pubblicitario in cui “la
rotta” è solo promessa. Una promessa sottintende quasi sempre
delle incognite, e le incognite a volte presagiscono sorprese. E qui,
a Boulogne sur Mer, le sorprese a quanto pare non si fanno attendere.
Che cosa si aspetterebbe qualcuno che
si trova in un luogo a lui sconosciuto e che cerca un posto
specifico, munito di un indirizzo preciso? Che l'indirizzo esista,
come minimo. Accade ovunque, in qualsiasi agglomerato urbano del
pianeta. Tranne qui, a Boulogne sur Mer.
C'è un inghippo, e nemmeno tanto
piccolo: tutte le persone a cui chiedo informazioni per raggiungere
la mia destinazione, quella pubblicizzata nel volantino che mi si era
spiaccicato in faccia a Parigi, conoscono il locale. “Le Miroir”
è conosciutissimo qui a Boulogne, ma la cosa strana è che tutte le
persone a cui chiedo lumi per raggiungerlo si mettono a ridere e
rispondono che non esiste l'indirizzo; e lo dicono come se la loro
risposta fosse la più ovvia, la più scontata del mondo. Beffardo è
il loro atteggiamento quando, con la massima gentilezza che riesco ad
esprimere in quel momento, domando di spiegarmi dove accidenti devo
andare per entrare a “Le Miroir”: se ne vanno ridendosela di
gusto, come si farebbe con uno sciroccato che chiede le coordinate
astrali per raggiungere un'altra galassia.
La cosa più ovvia che può venire alla
mente, in casi simili, è che si sia caduti vittima di uno scherzo,
una specie di trappola dispettosa e senza costrutto, organizzata da
qualche buontempone. Anche questo può accadere in qualsiasi
agglomerato urbano del pianeta. Certamente non accade qui, a Boulogne
sur Mer, dove molte sorprese pare abbiano scelto di darsi convegno e
di sbizzarrire la loro vèrve creativa su “turisti per caso”, per
di più naufraghi, come me. Una di queste mi viene a scovare proprio
quando ho ormai abbandonato le ricerche di “Le Miroir”, e si
manifesta, come è tipico delle sorprese, in modi e tempi
inaspettati.
Approfittando della bella giornata di
sole che la primavera sembra aver accordato anche a questa strana
città, mi incammino verso il lungomare. La strada che costeggia lo
stretto della Manica in questa zona è poco frequentata. E' un
boulevard molto lungo; da un lato la strada, sopraelevata rispetto al
mare, che dista un centinaio di metri separato dalla spiaggia, alla
quale si accede tramite delle scalinate piuttosto strette che,
percorrendo il largo marciapiede del viale, si incontrano ogni cento
metri circa. In prossimità di ogni scalinata c'è una panchina,
ognuna delle quali è contrassegnata da un numero. Di fronte ad ogni
panchina c'è una statua di un personaggio famoso. Così, ad esempio,
di fronte alla panchina n.1 c'è la statua di Napoleone, alla n.2 c'è
De Gaulle, alla n.3 c'è Luigi XIV, eccetera.
Quando decido di sedermi per riposarmi
e prendere un po' del sole di primavera sul viso, ho appena passato
la panchina n.18 col bel faccione di Flaubert che stava di fronte, e
che guardava perplesso una coppia di gabbiani innamorati che vi si
era appollaiata sopra. Per non disturbare l'intimità dei volatili e
non turbare ulteriormente Flaubert, mi siedo dunque sulla panchina
n.19, in petto alla quale si staglia imperiosa la statua di lui:
Cristophe Colombo. Non stavo ormai neanche più pensando a quello che
ero venuto a fare a Boulogne, ma l'associazione 19+Colombo è
scattata immediata nella mia mente. Prendo dalla tasca il volantino
di “Le Miroir”, l'indirizzo dice: 19, boulevard Cristophe
Colombo. Ma in questo boulevard, che non si chiama Colombo, non vedo
nessun locale; ci sono solo automobili che sfrecciano sulla strada e
dei giardinetti pubblici dall'altra parte. Mi avvicino incuriosito
alla statua, su cui leggo un'iscrizione che recita: “qui, nel 1484,
Cristophe Colombo naufragò. Riuscì a salvarsi a bordo di una
scialuppa che attraccò al molo 26”. Mi rendo conto che è
l'iscrizione più assurda che mai fu apposta su una statua
commemorativa, non fosse altro che è scritta in italiano e che qui
siamo in Francia, ma è anche la stessa cosa di cui parla il
volantino di “Le Miroir”. Lo stupore e il disorientamento corrono
a briglie sciolte nella mente per qualche istante. Poi,
istintivamente, mi giro verso la scalinata, dove ad attendermi c'è
l'ennesima sorpresa: appoggiato al primo gradino vedo un oggetto che
sembra essere stato abbandonato lì per sbaglio: è un piccolo
specchio. Ma non è uno specchio qualsiasi: è esattamente uguale a
quello del volantino. L'indizio è chiaro: “Le Miroir” è qui,
basta scendere la scalinata. Ce l'ho fatta; quando ormai non ci
pensavo più, l'ho trovato. O forse sarebbe più corretto dire che è
stato “Le Miroir” a trovare me. Mentre il cervello mastica
svogliatamente questo amletico dubbio, ne approfitto per scendere la
scalinata e vedere, prima di cantar vittoria, se davvero “Le
Miroir” è qui, dal momento che le sorprese in questo posto sono
all'ordine non del giorno, ma del minuto.
Scesi tutti i gradini mi trovo in
spiaggia. Deserta. Costruzioni che possono somigliare a locali
pubblici: zero. Davanti a me il mare, dietro di me il muro di cemento
sottostante al boulevard. L'unico oggetto presente in spiaggia è il
relitto di quella che sembra essere un'antica nave, il cui legno si
presenta piuttosto male in arnese. Mi avvicino, con l'intento di
trovare l'ennesima sorpresa, che credo a questo punto non mi possa
essere negata. Infatti la trovo. Sulla chiglia ormai semidistrutta si
legge a malapena una scritta in vernice ormai sbiadita: “Le
Miroir”. La barca è grande, posso entrarci dalle falle che ne
squarciano l'antico legno. Sono in quello che è rimasto della stiva.
Di fronte a me c'è una porta. Tiro la maniglia, entro. Dal buio una
dolce voce femminile mi saluta: “Ben arrivato a Le Miroir!!!”
(Fine quarto episodio)
Marco Bertelli
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