lunedì 25 agosto 2014

Amici





A cosa servono gli Amici? E' una domanda che da millenni il genere umano si pone.
Beh, tre o quattro risposte se le è anche date: per esempio, un amico serve per parlare, per confidarsi, condividere esperienze, per “non sentirsi solo”.
Per aiutarsi, certo: “l'amico si vede nel momento del bisogno”, direi che è il classico dei classici, la definizione di “amico” per antonomasia, perchè un vero amico aiuta sempre un suo amico in difficoltà.
Già, ma cosa succede quando non riesci proprio ad aiutare un amico? Quando non hai proprio niente da dargli, quando, anche se tu fossi l'uomo più ricco della terra, o il più potente, non potresti fare nulla per lui, e nemmeno sacrificare la tua vita servirebbe?
Continuano a raccontarci che viviamo nell'epoca del progresso, della tecnologia, della ricchezza economica (anche se, ogni tanto, qualche “crisi” ci intralcia), del benessere e della salute; e quando veniamo a sapere che un nostro amico, nel fiore degli anni e all'apice della salute, viene improvvisamente affetto da un male misterioso e incurabile, secondo “quelli che ce la raccontano” dovremmo credere che quel nostro amico è stato solo “sfortunato”, e che noi, suoi amici incolpevoli e impossibilitati a salvarlo, dobbiamo stargli vicino e, compassionevoli, assisterlo e accompagnarlo al compiersi del suo destino. Questo “deve fare l'amico”, altro non può. Del resto, dicono sempre “quelli che ce la raccontano”, la coscienza di chi resta “vivo” deve pur dormire tranquilla: come spesso ripetono, “chi muore giace e chi vive si dà pace”.
Non esiste niente di peggio che accontentarsi di certe spiegazioni, di “darsi pace” e credere che quello che ci raccontano sia “la verità”.
Questo lo sanno benissimo anche gli Amici di Fabrizio, detto “Brizio”.
Per loro era normale trovarsi assieme nel loro Inter club, a Larino, nel Molise. Tanti amici assieme a tifare per la loro squadra, vederla in televisione e ogni tanto andare allo stadio; affrontare un viaggio, magari lungo, ma sempre divertente comunque andasse a finire la partita. L'importante era stare assieme. Fabrizio era sempre con loro, sempre pronto ad animare la compagnia, a trovare uno spunto per una risata, a consolare quelli affranti dopo una sconfitta, il primo a celebrare allegramente la vittoria: era il leader, quello che arriva sempre prima, perchè è sempre “avanti”, e che sa tenere le fila della combriccola. Tutti lo rispettavano, lo ascoltavano e lo amavano.
E se il destino dei leader è quello di essere sempre “avanti”, Fabrizio lo ha voluto essere in tutti i sensi: un bel giorno, ha rivelato a tutti i suoi Amici di essere irrimediabilmente devastato da un cancro che lui probabilmente sapeva non l'avrebbe risparmiato.
“Lottare contro il male è una cosa che devi fare da solo, ma quando hai al fianco chi ti vuole bene, non è così doloroso”: più o meno questo deve avere pensato Fabrizio nel breve tempo che la malattia gli aveva concesso.
“Forse si può ancora fare qualcosa, è assurdo che uno se ne debba andare così”: più o meno questo devono aver pensato i suoi Amici mentre, increduli, vedevano svanire il corpo di Fabrizio.
La malattia, inesorabilmente, ha messo a tacere tutti questi pensieri: Fabrizio è scomparso.
A che cosa servono gli Amici, se non possono fare niente per salvare un Amico che lotta contro un male incurabile? A niente.
A meno che tu non sia un Amico di Fabrizio, e che tu ti senta talmente addolorato da una così grande perdita, da capire che non è questa la domanda giusta da farsi.
Spesso non riusciamo a darci pace perchè restiamo senza risposte di fronte ai grandi interrogativi che la vita ci pone, ma forse non capiamo che basterebbe cambiare le domande:
perchè il nostro Amico più caro ci ha lasciato? Lui, che sempre era allegro, pieno di vita, se alla fine se n'è andato non può essere invano. C'è qualcosa che dobbiamo fare per lui, per noi, per quelli che sono rimasti qui, tra i vivi.
Oggi, gli Amici di Fabrizio, pur continuando a tifare per la loro squadra di calcio preferita nel loro Inter Club di Larino nel Molise, hanno istituito la Fondazione no profit “Brizio”, che si occupa di raccogliere fondi per aiutare i malati di cancro e la ricerca medica, l'informazione e i sistemi di prevenzione della malattia che ha portato via il loro migliore Amico.
Gli Amici sono Amici per sempre, anche quando se ne vanno via, lasciando il vuoto e il dolore a quelli che sono rimasti quaggiù. E ti sono vicini comunque, insegnandoti ad aiutare chi soffre di una malattia terribile, inesorabile ed ingiusta, che, nonostante il progresso ed il benessere che ci vengono venduti da “quelli che ce la raccontano”, si fa ancora fatica, inspiegabilmente, a sconfiggere.
L'associazione “Brizio”, come è destino di chi si occupa di cose “scottanti” come combattere certe malattie, deve lottare per aiutare chi deve affrontare cure costose, trasferte disagevoli ed altre problematiche.
Deve lottare per informare, sensibilizzare, aiutare a prevenire.
Lo fa grazie alle donazioni di volontari che capiscono che donare è importante: lo è per gli “altri”, ma fa tanto bene anche a “se' stessi”. Tanti lo hanno capito e, sono certo, tanti altri lo capiranno.
Lo fa anche grazie a Fabrizio, sempre vivo nei loro Cuori.
Del resto, a cosa servono gli Amici?

Dedicato a Fabrizio, che purtroppo non ho mai conosciuto, a Massimo, Luigi e agli altri Amici dell'Associazione “Brizio” di Larino (CB) che, invece, ho avuto la Fortuna di conoscere.


Marco Bertelli 


https://www.facebook.com/brizioassociazionenoprofit/photos/a.203580029791863.1073741827.203578583125341/344067469076451/?type=1
 





domenica 10 agosto 2014

ROCK 'N' ROLL ROBOT - di Franco Galvani


Salvatore ha un aspetto dimesso, cammina lentamente con la schiena leggermente ricurva e lentamente parla con voce incerta tenendomi una mano sul braccio, forse per paura che vada via prima che abbia finito di dirmi le poche parole che ci scambiamo quasi tutti i giorni nella piazza dove posteggio la macchina.
Lui è sempre lì, non l’ho mai visto in compagnia di qualcuno, ci scambiamo il buongiorno, qualche parola sul tempo, sul traffico che ha reso il quartiere invivibile mentre quando arrivò lui tanti anni prima era un paradiso o su sua moglie che da sempre ha qualche problema di salute. Anche io abito lì da parecchi anni ma di lui non ho che un ricordo recente, forse adesso è in pensione e prima, quando lavorava, non aveva tempo per passeggiare in piazza.
Salvatore è sempre vestito allo stesso modo, un piumino lungo rosso che ha visto tempi migliori e un paio di pantaloni di velluto marrone di una taglia almeno più grande del necessario in inverno, una polo a righe blu e verdi e pantaloncini corti color caffelatte d’estate. Non da l’impressione di passarsela bene, non l’ho mai visto nel bar a prendere un caffè assieme agli altri pensionati e quando con la moglie va a fare la spesa nella sua borsa ci sono poche e povere cose. Mi mette un po’ di tristezza vedere come una vita possa arenarsi così nelle secche di chissà quali eventi, chissà cosa faceva prima ?
Non ha le mani dure e callose di un operaio, al contrario, sono grosse ma morbide e curate, quasi spiccano sul resto del corpo, sui radi capelli spettinati e la barba di un giorno o due. Forse un tempo era un agente di commercio o impiegato in qualche ditta, mi piace pensare che abbia passato anni chiuso in un’automobile o in un ufficio e adesso quella piazza sia il suo mondo libero, non so quanti anni possa avere, se li porta bene oppure male, di sicuro se li porta tutti ovunque vada come un fardello pesante che lo fa fermare a prendere fiato ogni tre passi.
Qualche giorno fa l’ho incontrato al ritorno dal lavoro, avevo appena chiuso la macchina quando mi sono sentito chiamare, era lui seduto su una panchina sotto a un albero che mi faceva ampi segni, mentre gli andavo incontro, con fatica si è alzato e dopo avermi salutato mi ha detto che avrebbe bisogno di un favore, sempre che io avessi potuto farglielo. Doveva trasportare alcune cose ma non avendo un mezzo per farlo mi ha domandato se potevamo usare la mia macchina che peraltro è piuttosto capiente.
Per conto mio non c’erano problemi così ci siamo dati appuntamento per il pomeriggio del sabato successivo, ho pensato avesse qualche vecchio mobile da gettare o a una lavatrice o un frigorifero rimediati chissà dove.
Quel pomeriggio si è presentato con in mano due bottiglie di vino “ di quello buono “ per me, fatto da un suo carissimo amico in Piemonte poi mi ha detto di andare in un posto verso il mare dove c’è un circolo ricreativo, a quell’ora l’avremmo trovato aperto e qualcuno ci avrebbe pure aiutato a caricare la macchina, mentre nel magazzino dove avremmo scaricato ci aspettavano i suoi amici. Tanta era la curiosità di sapere cosa aveva fatto nella vita prima di andare in pensione che nemmeno gli ho domandato cosa dovevamo prendere.
Salvatore faceva il massaggiatore sportivo, ha girato tutta l’Italia al seguito di tante società di atletica, poi si è stancato di quella vita così ha preferito fermasi e finire la carriera in una palestra. Anche se in pensione continua a fare i massaggi a schiene e gambe doloranti.
Il circolo era un locale con un bar, una pista da ballo e un piccolo palco per l’orchestra, caricammo in macchina un amplificatore, degli altoparlanti, aste per microfoni e un mixer.
Salvatore suona la chitarra assieme a due amici, un tastierista e un batterista, mi ha detto che le cose non vanno poi male, trovano sempre da fare delle serate. Suonano un po’ di tutto, latino americano, liscio, evergreen, la gente vuole ballare e loro si divertono.
Non avrei mai pensato che un tipo come Salvatore fosse pure un musicista, in gioventù studiò chitarra classica per molti anni. E’ proprio vero che non si devono giudicare le persone dall’aspetto, c’è il rischi di prendere delle cantonate mostruose.
Davanti al magazzino dove custodiscono gli strumenti c’erano gli altri due del gruppo ad aspettarci, Mario il batterista è il solo musicista professionista dei tre, anche lui in pensione ha suonato con molti jazzisti italiani e stranieri e pure nell’orchestra della RAI per tante stagioni. E’ un tipo magrissimo dal volto scavato e due braccia così sottili che pure le bacchette devono essere un peso notevole da sollevare.
Enzo il tastierista, fisarmonicista e sassofonista autodidatta è il più giovane dei tre, barbuto con una pancia enorme e la camicia aperta fino all’ombelico, di mestiere fa il frigorista.
Finito di sistemare le cose Salvatore mi ha chiesto se volevo ascoltare qualcosa, ho risposto che l’avrei fatto molto volentieri. In pochi minuti hanno sistemato gli strumenti, mi sono seduto davanti a loro e non nascondo che avevo un po’ di diffidenza su quello avrei ascoltato.
Salvatore ha cominciato con un arpeggio e subito dopo Mario l’ha seguito accarezzando i tamburi con le spazzole con precisione e sicurezza, quelle braccia sottili sembravano stessero danzando mentre un sorriso luminoso aveva cambiato l’espressione del suo viso, un sorriso nascosto in chissà quale angolo del suo animo. Enzo, accesa una sigaretta, si era allungato sullo schienale della seggiola aspettando il suo momento.
Non sono riuscito a capire subito cosa stavano suonando, la chitarra improvvisava in maniera stupenda su un giro di accordi che mi sembrava di conoscere ma non ero sicuro, poi Salvatore mi ha fatto un cenno con la testa e ha cominciato a cantare Besame mucho, la sua voce era piena e forte molto diversa da quella sommessa che sentivo quando ci salutavamo in piazza. Mentre cantava le note della chitarra erano più delicate, il vento di note era diventato una lieve brezza. Poi con un colpo di tamburo il ritmo è aumentato all’improvviso, con un assolo di batteria, la canzone era diventata molto più veloce ed Enzo è entrato con la tastiera, si sentiva che la tecnica era quello che era però aveva un suono pieno, sembrava che sotto quei tasti ci fosse un’orchestra intera. Dopo aver improvvisato parecchio, ha passato la palla a Salvatore, le sue dita grandi e morbide si muovevano con rapidità sulle corde, poi ha ripreso a cantare la canzone che nel frattempo era diventata uno swing.
Erano davvero bravi ma la cosa strana è stato il loro aspetto, mentre suonavano erano ringiovaniti, le rughe del tempo sembravano scomparse e il loro aspetto era rinvigorito, ridevano e scherzavano tra di loro, non avrebbero mai smesso di suonare, si scambiavano le note dei loro strumenti come ragazzini che si tirano le palline di carta. Non c’erano più i dolori di un’esistenza, suonando riuscivano a esorcizzare il tempo e avrebbero potuto farlo per l’eternità.
Quando torno dal lavoro incontro quasi sempre Salvatore seduto su una panchina in piazza, mi siedo a chiacchierare con lui, mi racconta di come sono andate e serate, se la gente si era divertita oppure no, di quando viaggiava per l’Italia con gli atleti durante le gare. Qualche volta gli offro un caffè o un “bianco” al bar, accetta sempre volentieri e quando usciamo dice che mi deve una canzone, gli rispondo che sabato pomeriggio sarò da loro.

"… C'è questo tipo strano, vedrai ti piacerà,
lui suona la chitarra in una rock'n'roll band
ha un cuore di bambino che non si rompe mai,
attacchi la corrente vedrai ti partirà."
(A. Camerini)

Franco Galvani