mercoledì 19 febbraio 2014

Don't play that song (you lied)

Oggi, a Roma, nei palazzi della politica, si sono incontrati un uomo di spettacolo ed un politico rottamatore. Noi italiani andiamo pazzi per le sfide, i duelli all'ultimo sangue, i confronti dialettici, specie se a questi diamo il nome (di pura fantasia, ovviamente) di “dibattito politico”. Non è che siano davvero importanti: sappiamo da decenni che quello che viene detto durante questi “scontri” non avrà la minima influenza sui destini nostri e della nazione. Il fatto è che i bar, gli uffici, le fabbriche, i posti dove la gente si trova, insomma, diventerebbero insopportabilmente noiosi se non ci fossero le discussioni che nascono da avvenimenti come quelli che abbiamo visto oggi: spettacoli “dal vivo”, inopinatamente gratuiti, durante i quali il trasformare l'inutile in essenziale, arte nella quale noi italiani non abbiamo rivali nell'universo, raggiunge l'apice.
Tra “uomo di spettacolo” e “politico rottamatore” corre una differenza minima, per non dire nulla. Entrambi possiedono una notevole capacità recitativa; a distinguerli, semmai, c'è il fatto che mentre l'uomo di spettacolo adotta sempre la stessa tecnica che ha imparato negli anni, praticando questo nobile mestiere, il politico rottamatore deve necessariamente essere capace di cambiare tecnica all'occorrenza, a seconda, cioè, del tipo di elettore col quale intende comunicare, e a seconda degli sbalzi di umore dei sondaggi di opinione, che dettano e spesso mutano il copione da recitare.
Il copione di oggi, per ottenere il successo, doveva essere parecchio originale: si trattava di mettere in scena uno spettacolo degno del migliore teatro d'avanguardia, difficilissimo da capire per un pubblico abituato a show tipo Festival di Sanremo, ma è stato comunque di alto livello.
Uomo di spettacolo e politico rottamatore, dopo essersi brevemente scambiati i convenevoli di rito, sono passati agli insulti reciproci con la disinvoltura tipica del teatro che fonde il “surreale” col “vero”, come nell'irruzione Pirandelliana dei “sei personaggi in cerca d'autore”, trasformandola, in questo caso, nei dei “due politici in cerca di elettore” (Maestro, ovunque tu sia, abbi pietà di me che non trovo un paragone meno blasfemo...).
La “mirabile” pièce di teatro d'avanguardia è proseguita sull'onda degli insulti per pochi minuti, poi, a sublimare il non-sense (tipico di questo genere teatrale), l'esibizione si è spostata in sala stampa, dove i due contendenti, in collaborazione con i giornalisti, per l'occasione nel ruolo di “spalla”, hanno deciso a quali domande dovevano rispondere, dimostrando di saper anche rifiutare di rispondere a domande sgradite.
La recita si è quindi conclusa: l'Italia, come previsto, avrà un “uomo di spettacolo” come prossimo Presidente del Consiglio, mentre il “politico rottamatore” se ne torna a casa sua, a Genova.
Dicono che il Festival di Sanremo stia perdendo consensi. In effetti è uno spettacolo abbastanza monotono anche secondo me. Ci vorrebbe, per farlo piacere di nuovo, quello che i francesi chiamano “un coup de thèatre”: magari l'irruzione Pirandelliana di un “politico rottamatore” e un “uomo di spettacolo”, che assieme, sul palco, al culmine della serata, si esibiscono nel loro duetto preferito: “Don't play that song (you lied)”.


Marco Bertelli

lunedì 17 febbraio 2014

Campo de' Fiori


Avrei preferito camminare qui da uomo libero, senza queste due ali di folla urlante e questa compagnia di frati “decollati”, penitenti di una colpa che io non conosco.
Mi domando chi sia oggi il condannato: io (libero da ogni insegnamento), che mi appresto a salire sulla pira pronta a divampare, o loro, quelli che mi scortano, recitando salmi senza conoscerne il significato (come è stato loro insegnato), e quelli che mi sputano addosso, perchè (così è stato loro insegnato) l'Eretico solo di questo è degno.
La risposta si confonde tra gli insulti e le orazioni che mi percuotono le orecchie con uguale vigore, senza nemmeno scalfirle.
Campo de' Fiori è un luogo senza tempo, in mezzo ad una città eterna.
Qui è normale che il corpo di un “Eretico”, ridotto dalle fiamme in cenere, riacquisti le sue sembianze in bronzo, modellato dalla Memoria travestita da artista. Chi mi ha condannato sembra ignorare questo; o forse finge di ignorarlo, preso com'è dalla smania di mantenere quel potere che solo la paura può difendere, e colui che si lascia guidare dalla paura è destinato, prima o poi, a farsi sopraffare dalla paura stessa, è solo questione di tempo.
Ma tempo e paura appartengono all'illusione dei “vivi”, io mi appresto a diventare eterno, cioè senza tempo. Dopo aver vissuto in un corpo impregnato di Eroico Furore, dopo aver lottato per affermare la mia Verità, dopo aver amato a mio modo il mondo, dopo aver lasciato il segno, torno ad essere l'Anima, immune da giudizi e condanne.
Campo de' Fiori mi accoglie nel suo fuoco, ma non mi brucia. Quello che arde è solo quel corpo che i condannati alla paura vedono ardere, ma non sono io. Io resto scritto, io resto letto, io resto vivo. Chi mi ha voluto qui, oggi, a Campo de' Fiori, arde nelle prigioni dello sfarzo, in palazzi fondati sulla paura, pronti a diventare cenere, e non c'è alcuna ingiustizia in tutto ciò.
Questa piazza senza tempo in mezzo ad una città eterna, oggi è un rogo; ma quel che oggi è cenere, a primavera sboccerà.
E' per questo che si chiama Campo de' Fiori.

A Giordano Bruno.


Marco Bertelli