giovedì 25 aprile 2013

Eremo

Mi chiamo Eremo e sono un Partigiano. Noi Partigiani facciamo come i frati quando entrano in convento: cambiamo nome. Quando saliamo sui monti a combattere, cambiamo anche pelle. Diventiamo l'idea di noi stessi: il nostro nome da Partigiani è la nostra Fede.
“Mi sento di morir”, dice una frase della nostra canzone. Ma noi siamo già morti, per fortuna.
Abbiamo già ucciso noi stessi e tutto quello che eravamo prima di decidere di combattere.
Abbiamo abbandonato il nostro lavoro, la nostra casa, la famiglia, gli amici. Adesso loro non esistono più per noi, e non sappiamo se domani esisteranno ancora, ma è per amor loro che siamo qui, perchè, indipendentemente dalla nostra sorte, loro devono continuare ad esistere.
I miei Compagni mi hanno chiamato così perchè sono uno che non sta tanto in compagnia. Non mi hanno dato questo nome per scherzarmi o per farmi sentire isolato. Tra di noi non esiste cattiveria, perchè siamo uniti dalla stessa sorte e non possiamo odiarci. E non ci sentiamo mai soli, perchè anche quando non ci parliamo e ognuno di noi guarda in direzioni diverse, sentiamo fin dentro alle ossa che ognuno di noi sorveglia gli altri e rischierebbe la propria vita pur di togliere un suo Compagno dal pericolo. E' così che si vince la guerra.
A me piace stare isolato, un po' lontano dagli altri miei Compagni. Mi piace osservarli, ascoltarli quando parlano e ridono tra loro, bevono vino rosso e raccontano di quello che erano prima della guerra, e fantasticano su quello che vogliono essere dopo. Sto zitto e sorrido: non potrei aggiungere o togliere altro ai loro discorsi, che sono anche i miei.
Quando questa guerra sarà finita, qualcuno di loro non tornerà alla casa che aveva lasciato prima di salire quassù. Altri torneranno, ma non troveranno più nulla, se non macerie. Altri ancora troveranno tutto quello che avevano lasciato, e qualcuno ad aspettarli.
Da lì ricomincerà la loro nuova vita, nata dalla morte di quella precedente.
In mezzo a quelle vite, loro sono stati Partigiani.
Chissà per quanto tempo se ne ricorderanno, e chissà per quanto tempo le generazioni a venire ascolteranno i loro racconti, e cercheranno di capire l'amore, l'odio, la paura, il coraggio, la speranza il dolore e la voglia di Pace che si provano quassù, dove si dorme a turno, abbracciati ognuno alla propria mitraglia, e si combatte per fare in modo che questa guerra sia finalmente l'ultima.
Non lo so. Ma io ho scelto: anche quando tutto sarà finito io rimarrò qui, su questi monti.
E rimarrò vivo per sempre, perchè io sono già morto e ho oltrepassato il tempo.
Chi mi verrà a trovare potrà ascoltare la storia di noi Partigiani, pronti a combattere per la Vita di altri, per la loro Vita. E se sentiranno la minaccia di un altro invasore, io li guiderò tra i sentieri e i boschi di questi monti, nei casolari dove si rifugiano i Partigiani e dove i Partigiani rinascono a nuova Vita, per combattere. E mi unirò a loro.
Eremo, il Partigiano, è sempre pronto a combattere quando è necessario.

Marco Bertelli

martedì 16 aprile 2013

Sintomi


Non appena il display a fianco della porta dell'ambulatorio medico, davanti al quale era in attesa, segnò il suo numero, lui si precipitò all'interno dello studio, incurante del rumore roboante che aveva provocato il suo semplice spingere in basso e poi in avanti la maniglia della porta, che ora, dopo essere stata rapidamente richiusa, traballava a causa dello spostamento d'aria che quell'impetuoso movimento aveva provocato.
Era troppo agitato. Entrò quasi trafelato, nonostante l'attesa di prima non richiedesse alcun movimento particolare.
Proclamò a voce alta e senza alcun convenevole di rito: "Dottore, la prego, mi guarisca!!!".
Il medico, che stava ancora completando le operazioni di archiviazione al computer della visita precedente, non fu attratto nè dal fragoroso rumore dell'insolita irruzione del paziente, nè dalla preghiera che, lanciata ad alto volume, aveva interrotto la quiete che faceva parte delle "regole" del suo lavoro.
Restò all'apparenza indifferente, il Medico. Diede una occhiata di sfuggita al paziente, tanto per capire chi fosse, e poi, tranquillamente, facendo cenno al paziente di accomodarsi sulla sedia di fronte a lui, disse: "Mi dica".
E impetuoso come un'onda nel mare agitato, lui riprese: "Mi dica...???, Mi guardi, piuttosto!!! Non vede che razza di macchia ho sulla faccia??? Le sembra normale che stamattina al risveglio mi sia ritrovato questa roba in faccia??? Non vede che disastro????"
Il Medico, allora, aggiustatosi meglio gli occhiali sul naso, lo osservò più attentamente, ma solo per qualche breve istante. Tornò ad assumere un'atteggiamento apparentemente più distaccato e, impassibilmente, disse: "Si, ho visto..... ma, scusi, lei che vuole da me?"
Lui rimase interdetto, incapace di comprendere il motivo di una risposta così incredibile: un po' come avesse chiesto ad un passante "scusi, sa mica l'ora?" e quello avesse risposto, andandosene, "certo che la so!!!".
Per un attimo il paziente  pensò di addebitare quello strano atteggiamento del Medico, all'impudente e poco riverente comportamento che egli stesso aveva assunto all'ingresso. In effetti, tutto quel frastuono, senza nemmeno un saluto al "padrone di casa", e  la perentorietà di un "mi guarisca!!!" pronunciato ad alta voce, non dovevano aver fatto buona impressione.
Durò pochi fuggevoli istanti questo suo pensiero, perchè fu il Medico, stavolta, a rompere il silenzio.
Si alzò quasi di scatto dalla sedia, mentre scrutava severo gli occhi del paziente ora muto, si diresse verso la finestra che dava sul  giardino, e, le mani unite dietro la schiena, dando le spalle al paziente, cominciò:
"Mi guarisca!!!... Dottore, sono malato, ci pensi lei!!!", disse con evidente tono ironico, con l'intento di sfottere bonariamente la categoria dei pazienti tutti.
"Malato... ma malato di che? Lei crede che la macchia che le è comparsa sul viso stamane sia una malattia, non è vero?" Chiese voltandosi di scatto verso il paziente.
"Beh, veramente... non saprei... sono qui perchè vorrei guarire e non vedere più questa macchia" rispose lui, "pensavo che, dopo avermi esaminato, lei mi avrebbe ordinato dei farmaci, e che quei farmaci mi avrebbero fatto tornare normale".
Il Medico, allora, tanto per rendere ancora più surreale il tenore della conversazione, che si stava sostituendo ormai all' ordinaria visita medica, si girò di nuovo, viso alla finestra, e irruppe in una fragorosa quanto sincera risata. "Aahahahahah!!! Allora è questo che lei vuole!!!!",  disse sostenuto dall'onda del riso, "Lei stamattina si sveglia con un sintomo, e tutto quello che le serve, secondo lei, è un farmaco che  cancelli il sintomo dalla sua vista, facendola così tornare.... normale".
Lui, il paziente, colto di sorpresa, si sentiva affondare nella sedia, non riusciva a seguire il discorso, era sopraffatto dallo smarrimento. "Come sarebbe a dire sintomo?", Chiese timidamente, "Cos'altro è questa brutta macchia se non una malattia che lei mi dovrebbe aiutare a curare?".
Il Medico riacquistò la serietà che si impone alla sua professione, e giratosi di nuovo verso l'interlocutore, riprese:
"Cellule. Noi siamo miliardi e miliardi di cellule. Ogni volta che ci guardiamo allo specchio ci consideriamo per come la nostra immagine si riflette, ma non ci consideriamo mai per come siamo composti. Pensiamo, ogni volta che siamo davanti ad uno specchio, che sia una persona sola quella che si sta guardando, in realtà sono miliardi e miliardi, e sono tutte lì, in quell'immagine, e tutte che si credono la stessa persona, che vedono la stessa immagine e che pensano la stessa identica cosa di quell'immagine. Stamattina, lei, guardandosi allo specchio, ha scoperto una cosa straordinaria. Alcune delle sue cellule, evidentemente scontente di come lei le tratta, hanno indetto una manifestazione di protesta, e si sono riunite proprio lì, in bella vista sul suo viso. Sono cellule scontente, sono le cellule precarie del suo corpo, vengono da tutto il suo corpo, dai piedi, dalle braccia, dalla schiena, insomma da tutto lei stesso. Protestano per come lei le tratta, forse per quello che mangia, forse per le abitudini stressanti che la sua vita quotidiana, in modo scorretto, impone al suo corpo e, quindi, a tutti i suoi miliardi di cellule. Lei mi chiede di farle sparire, ma forse sarebbe meglio ascoltarle, perchè queste cellule vogliono parlare a lei".
Lui, il paziente, era ormai di sasso, con gli occhi sbarrati. Preso dalle immagini surreali che il Medico aveva così vividamente materializzato nel suo animo, non sapeva più se era spettatore di un racconto di fantascienza, o se ne era il protagonista.
Il Medico aveva capito che il suo paziente era disorientato. Si era quasi compiaciuto, il Dottore, di quella sua prolusione così fuori dalle righe, ma d'altronde, era fuori dalle righe anche il modo con cui la visita si era delineata, fin dal momento dell'irruzione del paziente in studio.
Si rigirò ancora, viso alla finestra, e cercando di risvegliare dal torpore il paziente, disse: "Spero abbia capito che il suo caso abbisogna di approfondimenti. Potrei, sì, prescriverle alcuni farmaci che possono lenire gli effetti visivi del fenomeno che lei manifesta, lo potrei fare come lo potrebbe fare qualunque farmacista, ma forse lei, che ha  detto di essere malato, vorrebbe davvero guarire, non è vero?."
La domanda, sospesa nell'aria, stava attendendo la risposta del paziente, e il medico, nell'attesa, si era per un attimo distratto, incuriosito dei colori del giardino su cui si affacciava la finestra dello studio. Rimase alcuni istanti ad ammirare la luminosità di quei bellissimi colori, che risaltavano, sgargianti, sotto la luce del tiepido sole d'aprile.
Non avvertendo cenni di risposta alcuna da parte del paziente, il Medico si girò, e,  con suo grande stupore, si accorse di essere rimasto solo.
Non seppe indovinare se il paziente se n'era andato perchè troppo confuso o, semplicemente, perchè illuminato dall'idea che anche il farmacista avrebbe potuto cancellare la macchia sul  suo viso.
Si limitò a pensare: "Non si poteva fare a meno di notarlo quando è entrato, non si riusciva a sentirlo quand'è uscito"

Marco Bertelli

lunedì 8 aprile 2013

Eyes wide shut

Un Autobus di viaggiatori ignari della loro destinazione parte dal centro di Roma. Seguito da un codazzo di paparazzi, altrettanto ignari della strada da percorrere, ma per nulla intenzionati a desistere dall'inseguimento. Gli ignari viaggiatori sono rappresentanti del Popolo Italiano, regolarmente eletti alle ultime consultazioni elettorali. I paparazzi, invece, sono curiosi ometti regolarmente autorizzati a difendere la cosiddetta “libertà di stampa”: vengono chiamati giornalisti. Quello che è successo qualche giorno fa, ci piaccia o no, è esattamente questo: una comitiva di parlamentari, in teoria liberi cittadini con facoltà di decisione sulle sorti della nostra nazione, che fanno una scampagnata fuori porta (c'è chi dice che durante il viaggio in autobus qualcuno abbia tentato di vendere loro delle pentole, ma la notizia non è confermata), inseguiti da ossessi in crisi da astinenza da scoop giornalistico.
Giusto un comico poteva inscenare una pantomima del genere, chi sennò? Il comico in questione, però, ha smesso di far ridere da parecchio. Anzi, pare che non rida più neanche lui, e che gli dia parecchio fastidio che lo facciano altri quando impartisce disposizioni ai suoi servitori regolarmente eletti. Ora deve muovere i fili di qualche burattino, e per far questo deve, tra le tante altre cose, bendare metaforicamente gli occhi di persone che dovrebbero tenerli ben aperti (è per questo che hanno ricevuto il voto degli elettori, caso mai ce lo fossimo scordati) e portarli in campagna per dar modo ai paparazzi col badge “Stampa”, incaricati di far casino, di inseguirli e descrivere scenari improbabili per fare in modo che tutti ne parlino.
Una sceneggiata niente male. Del resto... That's democracy, my friend (mi esercito, casomai fossi costretto ad emigrare all'estero e parlare con qualcuno di ciò che accade nella mia Patria).
La scena del viaggio in autobus con annesso inseguimento stile “Oggi le Comiche”, mi ha riportato alla mente un capolavoro del cinema, di un Genio di nome Stanley Kubrick; più che un regista, un creatore di pietre miliari. Il suo ultimo film, prima che se ne andasse da questo mondo nel 1999, si chiama “Eyes wide shut” (Occhi completamente chiusi).
Nel bellissimo film di Kubrick, il protagonista, Tom Cruise, vuole concedersi un'avventura extraconiugale, ma viene coinvolto in un intrigo dai risvolti sinistri. Nella sua brama di peccato, il protagonista del film si imbatte in un amico che riesce a farlo “imbucare” in una festa che in realtà si rivela essere la riunione di una società segreta di stampo vagamente massonico, dedita a celebrare i piaceri della carne previa esecuzione di riti vagamente satanici tra sacerdoti pagani e adepti camuffati con maschere. I paparazzi sono dei perfetti “Tom Cruise”, alla ricerca del brivido proibito, in questo caso camuffato da “diritto di cronaca”, per raggiungere il quale fanno l'impossibile, come ha dimostrato di voler fare quella cronista de “Il Fatto” (titolo di testata giornalistica o semplice participio passato? Boh) che pur di raggiungere lo scopo di documentare una riunione (solo teoricamente) segreta, e di essere l'unica a farlo, si è arrampicata sugli impervi tetti dell'oscuro luogo dove si svolgeva questa inquietante riunione. Tutto inutile. Del resto tutte le società segrete degne di questo nome, sanno quali contromisure attuare in difesa della propria privacy (nel film di Kubrick, Tom Cruise se ne è accorto a sue spese).
Al di là di questo, comunque, è interessante notare come sia i giornalisti che i grillini abbiano raggiunto il loro scopo. I primi hanno fatto la figura degli eroi, con la loro tenacia nel difendere il diritto di cronaca; i secondi invece hanno ottenuto che si parlasse di loro, e soprattutto che lo si facesse nel modo che loro prediligono, e cioè come i trasgressori del sistema, cosa che in realtà sono ben lungi da essere, ovviamente. Ma è bene che le cose sembrino così, sia per i grillini che per i paparazzi e i loro editori. E' bene che tutti, soprattutto il pubblico dei votanti (che sono anche lettori di giornali ed utenti televisivi e di web), vengano attratti da queste ridicole messinscene, di modo che continuino ad essere come sempre: “Eyes wide shut”.
A proposito, qualcuno davvero in gamba è riuscito ad infiltrarsi nella riunione segreta dei grillini. Non era un paparazzo, quindi possiamo fidarci di lui. Purtroppo non poteva essere Kubrick, ma ha lo stesso girato un filmato di quello che è successo in quella riunione.
Credevate che fosse una “riunione politica”? Manco per niente!!!
Una riunione tra massoni o satanisti? Macchè!!!
Ecco cos'hanno fatto Grillo e i suoi grillini:



 Marco Bertelli

giovedì 4 aprile 2013

Gospel



La storia dell'umanità ha conosciuto uomini la cui vita sembra trascendere il significato comune di esistenza.

Uomini il cui passaggio sul pianeta ha lasciato impronte più profonde di qualsiasi meteorite, ed  il segno che hanno lasciato è rimasto nelle coscienze degli umani, e non si può cancellare.
Uomini che hanno affidato la propria esistenza ad una Visione, che hanno sognato e materializzato dentro sè, ed offerto all'umanità.

Oggi 4 aprile, è il giorno in cui si commemora il sogno di un Grande Uomo. O per meglio dire, il giorno in cui questo sogno ha lasciato la sua impronta nelle umane coscienze.

Qualcuno, o qualcosa, il 4 aprile 1968, ha creduto che il modo per cancellare quel sogno, fosse quello di ammazzare Martin Luther King jr., che il sogno l'aveva concepito.
Qualcuno, o qualcosa, il 4 aprile 1968, ha creduto di poter decidere quali dovessero essere i sogni dell'umanità, e ha ucciso Martin Luther King jr., che aveva concepito un sogno diverso.

Spesso i malvagi vivono e si nutrono di ignoranza e paura, con cui  si illudono di soggiogare le vite della moltitudine degli uomini.

Non sanno che i sogni non restano imprigionati nei corpi degli uomini sepolti, perchè vengono da tempi lontani e volano in corpi futuri.
Non sanno che i sogni non hanno mai paura, perchè non esiste prigione in cui recluderli e non c'è proiettile che possa ferirli.

Grazie, Martin Luther King jr., per averci insegnato che il sogno non è un motivo per cui morire, ma un modo per continuare a vivere.


Marco Bertelli

lunedì 1 aprile 2013

Il Poeta

Guardo fuori dalla finestra: c'è un cielo che sembra non essere mai cambiato da quando l'autunno, sei mesi fa, ha spezzato l'estate. Sembra che la stagione della fioritura, quest'anno, abbia deciso di donare le sue delizie ad un pianeta diverso da quello che vedo dal mio balcone. Alla primavera non va proprio di passare da noi. O forse aspetta che siamo noi a pregarla, come una bella donna che ha deciso di vedere quanto riesce a far battere il cuore del suo amante.
Sembra esserci una sconcertante analogia tra l'anomalo grigio del cielo di questo aprile, e l'ancor più cupo grigio che si è insinuato nell'animo degli abitanti di questo pianeta/penisola che galleggia al centro del Mediterraneo. Il cielo grigio, l'aria fredda di un inverno non ancora stanco e le estenuanti piogge, contrastano con la pagina del calendario, aperta oggi sul mese di aprile.
Sembra la metafora di quello che succede alle persone. Lo si rivede, questo contrasto, anche nelle vicende politiche, che ci parlano di spaccature, divisioni, disaccordi. E' il riflesso di quello che siamo dentro. Un riflesso che non vorremmo vedere, perchè ci da fastidio, ma ogni volta che cerchiamo di non vederlo, mentiamo a noi stessi, e anziché stare meglio, non guardando in faccia a quello che ci ferisce, stiamo peggio. Non possiamo sfuggire a noi stessi, a nulla ci serve dare la colpa del nostro malessere al politico che non abbiamo votato, o alla primavera che non si decide ad arrivare. I contrasti che vediamo fuori di noi, li abbiamo provocati noi, perchè in realtà sono dentro di noi. Ma a noi italianucci di tutte le latitudini piacciono i contrasti, le dispute, le schermaglie. Cimentarsi in un dibattito aspro e magari infarcito di insulti e di qualche improbabile acrobazia logico-filosofica da bar, per noi italici è il massimo. C'è chi prospera su questo “sport nazionale”, ahimè non ancora diventata disciplina olimpica. Nuovi partiti che nascono per alimentare contrasti, con la scusa che “dobbiamo cambiare le cose” (guardandosi bene dal dire che in realtà prima deve cambiare  la coscienza collettiva), e vecchi partiti che non vedevano l'ora che nascessero i nuovi, per prolungare la loro sopravvivenza che ormai sembrava compromessa. Gli uni esistono e sopravvivono solo grazie agli altri. E' un giochino vecchio come il cucco, ma che funziona ancora benissimo:
“Il paese esprime sempre una volontà di cambiamento, e questa è la miglior garanzia dell'immutabilità politica. Basta non cambiare mai, di modo che il popolo possa continuare ad esprimere la sua volontà di cambiamento”.
Così lo descrive con magnifica semplicità il grande Scrittore Stefano Benni.
Ci sono Scrittori, in particolar modo certi Poeti, che vedono dove la gente cosiddetta “comune” non riesce a vedere. Non è affatto un caso che molti di loro incorrano nelle persecuzioni che i politici che detengono il “potere”, scagliano verso di loro. Questo perchè sanno che i Poeti possiedono quel modo di vedere le cose che, se si diffondesse tra la gente, potrebbe essere destabilizzante al punto di cambiare veramente le cose.
Ma questa è solo una mia personale riflessione, ovviamente, e molti di quelli che la leggono, naturalmente, stenteranno non poco a farla propria, preferendo pensare che i contrasti e le divisioni che frequentemente vediamo in tv e leggiamo sui giornali e sul web, siano un problema dovuto al malcostume, alla malapolitica, alla maleconomia, al “male” in generale, insomma, di cui siamo vittime in questo triste periodo di “Crisi”. E' normale sia così, altrimenti Benni non avrebbe scritto la frase sopra citata. Non importa. Io credo che un giorno, tutti riusciremo a comprendere questo meccanismo infernale che ci intrappola, e magari riusciremo a dare il significato che merita a una meravigliosa Poesia come questa:

Berimbau


Un uomo che è buono non tradisce
Quell'amore che desidera il suo bene
Chi troppe volte dice che se ne va, mai se ne va
E così, come non se ne andrà,
Mai più tornerà
Chi da dentro di se' non esce
Morirà senza aver mai amato nessuno
Il denaro di chi denaro non da
è il lavoro di chi denaro non ha
Un buon Capoeira non cade mai
E se un giorno cadesse
Cadrebbe bene
Capoeira mi ha mandato a dire
Che sta arrivando
Arriva per combattere
Il Berimbau mi ha confermato
Ci sarà da lottare per l'Amore
“Tristezza, amico mio”


Se non ci fosse l'Amore
Se non ci fosse il Dolore che da
Se non ci fosse la Sofferenza
Se non ci fosse il Pianto
Sarebbe meglio che nulla più esistesse


Io ho amato
Ho amato tantissimo
Quello che ho sofferto a causa dell'Amore
Nessuno ha mai sofferto
Ho pianto, ho perso la mia Pace
Ma ciò che ora so
E' che nessuno hai mai avuto tanto
Quanto io ho


Vinicius de Moraes

Grazie Poeta!!!

 
Marco Bertelli