(riprende dal 4^ episodio)
Tante sono le cose che non ci si
aspetta di trovare quando si entra per la prima volta in un locale.
Tra queste, il buio è senz'altro una delle prime. Che poi dal buio
si diffonda una voce che ti accoglie con un “ben arrivato”, è
una stranezza alla quale ormai si tende a non far troppo caso,
annoverandola al solo scopo statistico tra le innumerevoli bizzarrie
che ormai in questa vicenda hanno acquisito tutti i crismi della
normalità. Certo, il buio che ti coglie all'improvviso ti
disorienta, ti fa perdere il senso dello spazio e blocca la capacità
di muoverti con sicurezza, ma quella voce gentile che dolcemente ti
saluta, d'altro canto, ti tranquillizza e affievolisce l'istinto
meccanico di annaspare con le mani nel buio a cercare la maniglia
della porta di ingresso per farla diventare la maniglia della porta
d'uscita. Quando poi il cigolìo dei cardini della vecchia porta
della stiva di un antico relitto, aumenta di volume e culmina in un
secco ed ermetico “clac”, ti accorgi che quella voce seduttrice
ti ha definitivamente sottratto il tempo che avevi per decidere di
squagliartela. Nel buio, ora invaso dal silenzio, cerco di fare
amicizia col senso di smarrimento e di angoscia che si stanno
impadronendo della mia mente; lo faccio nel modo per me più
classico, e cioè gettandomi nel ridicolo, commettendo quella che si
dice una “gaffe”. Rompo il silenzio: “c'è qualcuno?”, la mia
improvvida voce spara nell'oscurità. La risposta arriva non
dall'esterno, ma dal più fulmineo dei pensieri che la mia mente, lì
per lì, riesce a produrre, e che è spietato: “Certo che c'è
qualcuno, pirla!!! Ti hanno anche salutato, avresti potuto ricambiare
quel saluto, anziché uscirtene con domande idiote!!!”. La mia
mente, quando vuole, sa essere perspicace e critica al tempo stesso.
Ma ormai la “gaffe” è andata,
posso solo sperare che passi inosservata. Non è così.
Dall'esterno risuona la stessa voce che
poco prima mi aveva accolto, quasi con le stesse parole:
“Naturalmente c'è qualcuno. Ben arrivato a Le Miroir, vuoi
entrare?”.
La prima parte della risposta mi giunge
alquanto sarcastica, la domanda finale invece mi lascia un po'
allibito perchè ero convinto di essere già entrato, ma se non altro
pare riveli l'intenzione di instaurare una conversazione. Decido di
affrontare il dialogo, non senza rischiare una mia seconda gaffe:
“non è che non voglia entrare, è che non saprei come uscire”.
Stavolta la mia mente si astiene da qualsivoglia commento, anche
perchè arriva prima la risata della voce seduttrice: “ahahahah!!!
Ma certo, hai bisogno di vedere!!!”.
Improvvisamente il buio viene trafitto
dalla luce arancione di una vecchia lampada ad olio. Non è una luce
molto chiara, ma è sufficiente per mostrarmi almeno i contorni
dell'ambiente in cui mi trovo. La prima cosa che noto e che mi lascia
più disorientato del buio, è che in questa stanza sono da solo, e
che la voce che mi parla, dunque, proviene da fuori. La lampada che
ha infranto il buio è appesa al centro di una delle quattro pareti
della stanza, che è piccolissima, ad occhio direi due metri per tre;
sulla sinistra una porticina, dentro la quale si vedono degli scalini
che scendono, sulla destra un'altra porticina, con degli scalini che
salgono. Ai lati pareti senza aperture, così come lo è il soffitto.
Dietro di me la parete con la porta dalla quale ero entrato, ma
quella porta è solo disegnata sul muro ...è finta. Non avevo mai
provato prima la sensazione di stare in una stanza senza esservi mai
entrato, ma non è il momento di analizzare questa ennesima
stranezza: devo capire da dove viene la voce che mi parla. “Dove
sei?” chiedo alla voce nascosta, che ribatte: “Se vuoi entrare
devi scendere, altrimenti puoi uscire da qui salendo le scale”. Ora
riesco a percepire chiaramente che la voce viene da una delle due
porticine: quella con le scale che scendono. La voce continua: “Se
esci da qui, potrai continuare a cercare altrove la tua rotta, Le
Miroir non ti verrà più a cercare. Se scendi troverai la rotta che
cercavi, ma non sarà quella che credevi di trovare”. Non sono mai
stato bravo a risolvere rompicapo e ad “indovinare” le risposte
degli indovinelli, ed è proprio per questo motivo che mi
affascinano. Così come mi affascina quella dolce voce nascosta, al
cui mistero non riesco ad opporre resistenza. Prendo la porticina a
sinistra, scendo i gradini, non più di una ventina, di una scala a
spirale che mi conduce in un'ampia stanza illuminata da una decina di
lampade, simili a quella dello stanzino al piano superiore,
completamente priva di arredamento, fatta eccezione per un bancone
stile reception d' albergo, sistemato al lato opposto alla scala.
Ormai le sorprese si succedono ad un
ritmo talmente frenetico che non mi fa nemmeno impressione scoprire
che da dietro il bancone, fonte della dolce voce seducente, ad
attendermi c'è proprio lei: l'incredibilmente affascinante hostess,
nonché capofila di “serpenti umani”, che avevo incontrato a
Parigi, e che mi aveva consegnato l'indirizzo di Le Miroir. Credo ai
miei occhi (e direi che mi conviene), e decido di trasmetterle i
sensi della mia ammirazione nel modo che mi potrebbe valere il Premio
Nobel per le gaffes: con un'aria che potrebbe ricordare Woody Allen
quando imita Humphrey Bogart, mi avvicino al bancone, e di fronte al
suo indescrivibile sorriso le porgo un mio: “Toh, chi si rivede...
come mai da sola, oggi?”. La sua (non) risposta consiste nel
contrarre leggermente i muscoli attorno alle labbra, segno evidente
di chi non vuole che un sorriso di cordiale benvenuto si trasformi in
una risata di scherno. La mia (non) controrisposta si estrinseca nel
camaleontico mutare del colore del mio viso, diventato probabilmente
di un colore più acceso dell'arancione delle lampade ad olio che
illuminano quell'ameno luogo, mentre i miei occhi si affrettano a
dirottare lo sguardo verso il basso. La mia interlocutrice lascia,
molto saggiamente, lievitare in me il senso d'imbarazzo per qualche
lungo istante. Il tempo necessario per farmi riprendere, dopo la
sarabanda di gaffes nelle quali mi sono esibito quasi senza
accorgermene, come fossero dettate da uno schema meccanico che mi
impediva di rendermi ben conto della situazione nella quale mi
trovavo. Il silenzio dilaga per altri lunghissimi istanti. Poi, quasi
avesse letto dentro i miei pensieri con la facilità con la quale si
leggono le istruzioni di montaggio di una lampadina, l'ammaliante
hostess riprende il filo della conversazione: “Sei giunto fin qui
quasi senza rendertene conto, infatti è solo così che puoi trovare
un posto come questo. Non ti preoccupare per le figuracce che hai
fatto: la tua mente cosciente è in agitazione per quello che sta per
conoscere”.
Ascoltare qualcuno mentre legge i tuoi
pensieri proprio nel momento in cui questi passano per la tua mente,
può essere un'esperienza mistica. C'è un che di inquietante,
invece, nel capire che chi ti sta leggendo i pensieri conosce anche
quello che sta per succedere. Decido di farmi sentire: “Cos'è
questo posto? Come fai a sapere quello che sto pensando? Chi sei
tu?”.
Il suo sorriso si apre come la più
bella rosa di maggio, con l'evidente intento di lasciarmi interdetto,
mentre con le note più suadenti che abbia mai sentito pronunciare da
voce umana, mi risponde “Non ti posso dire niente, per ora. Tranne
che sei qui perchè vuoi trovare la tua rotta, e io te la farò
scoprire. Ma per far questo dobbiamo andare nel Profondo. Devi
seguirmi”.
Le vorrei spiegare che io la seguirei
volentieri anche all'inferno, ma sicuramente lei lo avrà già letto
nei miei pensieri, quindi non spreco fiato e fisso il mio sguardo
sulle sue spalle, che lei mi ha rivolto per mostrarmi che dovrò star
dietro a quelle, mentre lei mi accompagnerà giù per degli altri
scalini, che stanno dietro una porta che io non avevo ancora notato
essere a fianco del bancone della reception, unico arredamento della
stanza dalla quale stavamo per uscire. I gradini che stiamo scendendo
sono al buio, segno che sono parecchi. Per un attimo mi chiedo come
possa esistere un luogo così complesso dentro un relitto di
un'antica nave. Ma forse è l'ultimo contatto con la realtà così
come l'avevo conosciuta fino a quel momento, perchè la voce di
quella misteriosa affascinante creatura mi annuncia: “Ora basta con
le domande inutili. Ora andiamo nel Profondo. Giù, nel Profondo”.
Ovviamente io non capisco, ma la seguo. Capire le cose, a quanto
pare, non è più un compito che mi riguarda. Non so cosa mi stia
aspettando, né dove sono, né chi sia quella bellissima creatura che
mi sta portando, ma so che devo andare giù, nel Profondo.
(fine quinto episodio)
Marco Bertelli