mercoledì 27 marzo 2013

Le Miroir (Lo specchio) - 5^ episodio: Nel Profondo

(riprende dal 4^ episodio)

Tante sono le cose che non ci si aspetta di trovare quando si entra per la prima volta in un locale. Tra queste, il buio è senz'altro una delle prime. Che poi dal buio si diffonda una voce che ti accoglie con un “ben arrivato”, è una stranezza alla quale ormai si tende a non far troppo caso, annoverandola al solo scopo statistico tra le innumerevoli bizzarrie che ormai in questa vicenda hanno acquisito tutti i crismi della normalità. Certo, il buio che ti coglie all'improvviso ti disorienta, ti fa perdere il senso dello spazio e blocca la capacità di muoverti con sicurezza, ma quella voce gentile che dolcemente ti saluta, d'altro canto, ti tranquillizza e affievolisce l'istinto meccanico di annaspare con le mani nel buio a cercare la maniglia della porta di ingresso per farla diventare la maniglia della porta d'uscita. Quando poi il cigolìo dei cardini della vecchia porta della stiva di un antico relitto, aumenta di volume e culmina in un secco ed ermetico “clac”, ti accorgi che quella voce seduttrice ti ha definitivamente sottratto il tempo che avevi per decidere di squagliartela. Nel buio, ora invaso dal silenzio, cerco di fare amicizia col senso di smarrimento e di angoscia che si stanno impadronendo della mia mente; lo faccio nel modo per me più classico, e cioè gettandomi nel ridicolo, commettendo quella che si dice una “gaffe”. Rompo il silenzio: “c'è qualcuno?”, la mia improvvida voce spara nell'oscurità. La risposta arriva non dall'esterno, ma dal più fulmineo dei pensieri che la mia mente, lì per lì, riesce a produrre, e che è spietato: “Certo che c'è qualcuno, pirla!!! Ti hanno anche salutato, avresti potuto ricambiare quel saluto, anziché uscirtene con domande idiote!!!”. La mia mente, quando vuole, sa essere perspicace e critica al tempo stesso.
Ma ormai la “gaffe” è andata, posso solo sperare che passi inosservata. Non è così.
Dall'esterno risuona la stessa voce che poco prima mi aveva accolto, quasi con le stesse parole: “Naturalmente c'è qualcuno. Ben arrivato a Le Miroir, vuoi entrare?”.
La prima parte della risposta mi giunge alquanto sarcastica, la domanda finale invece mi lascia un po' allibito perchè ero convinto di essere già entrato, ma se non altro pare riveli l'intenzione di instaurare una conversazione. Decido di affrontare il dialogo, non senza rischiare una mia seconda gaffe: “non è che non voglia entrare, è che non saprei come uscire”. Stavolta la mia mente si astiene da qualsivoglia commento, anche perchè arriva prima la risata della voce seduttrice: “ahahahah!!! Ma certo, hai bisogno di vedere!!!”.
Improvvisamente il buio viene trafitto dalla luce arancione di una vecchia lampada ad olio. Non è una luce molto chiara, ma è sufficiente per mostrarmi almeno i contorni dell'ambiente in cui mi trovo. La prima cosa che noto e che mi lascia più disorientato del buio, è che in questa stanza sono da solo, e che la voce che mi parla, dunque, proviene da fuori. La lampada che ha infranto il buio è appesa al centro di una delle quattro pareti della stanza, che è piccolissima, ad occhio direi due metri per tre; sulla sinistra una porticina, dentro la quale si vedono degli scalini che scendono, sulla destra un'altra porticina, con degli scalini che salgono. Ai lati pareti senza aperture, così come lo è il soffitto. Dietro di me la parete con la porta dalla quale ero entrato, ma quella porta è solo disegnata sul muro ...è finta. Non avevo mai provato prima la sensazione di stare in una stanza senza esservi mai entrato, ma non è il momento di analizzare questa ennesima stranezza: devo capire da dove viene la voce che mi parla. “Dove sei?” chiedo alla voce nascosta, che ribatte: “Se vuoi entrare devi scendere, altrimenti puoi uscire da qui salendo le scale”. Ora riesco a percepire chiaramente che la voce viene da una delle due porticine: quella con le scale che scendono. La voce continua: “Se esci da qui, potrai continuare a cercare altrove la tua rotta, Le Miroir non ti verrà più a cercare. Se scendi troverai la rotta che cercavi, ma non sarà quella che credevi di trovare”. Non sono mai stato bravo a risolvere rompicapo e ad “indovinare” le risposte degli indovinelli, ed è proprio per questo motivo che mi affascinano. Così come mi affascina quella dolce voce nascosta, al cui mistero non riesco ad opporre resistenza. Prendo la porticina a sinistra, scendo i gradini, non più di una ventina, di una scala a spirale che mi conduce in un'ampia stanza illuminata da una decina di lampade, simili a quella dello stanzino al piano superiore, completamente priva di arredamento, fatta eccezione per un bancone stile reception d' albergo, sistemato al lato opposto alla scala.
Ormai le sorprese si succedono ad un ritmo talmente frenetico che non mi fa nemmeno impressione scoprire che da dietro il bancone, fonte della dolce voce seducente, ad attendermi c'è proprio lei: l'incredibilmente affascinante hostess, nonché capofila di “serpenti umani”, che avevo incontrato a Parigi, e che mi aveva consegnato l'indirizzo di Le Miroir. Credo ai miei occhi (e direi che mi conviene), e decido di trasmetterle i sensi della mia ammirazione nel modo che mi potrebbe valere il Premio Nobel per le gaffes: con un'aria che potrebbe ricordare Woody Allen quando imita Humphrey Bogart, mi avvicino al bancone, e di fronte al suo indescrivibile sorriso le porgo un mio: “Toh, chi si rivede... come mai da sola, oggi?”. La sua (non) risposta consiste nel contrarre leggermente i muscoli attorno alle labbra, segno evidente di chi non vuole che un sorriso di cordiale benvenuto si trasformi in una risata di scherno. La mia (non) controrisposta si estrinseca nel camaleontico mutare del colore del mio viso, diventato probabilmente di un colore più acceso dell'arancione delle lampade ad olio che illuminano quell'ameno luogo, mentre i miei occhi si affrettano a dirottare lo sguardo verso il basso. La mia interlocutrice lascia, molto saggiamente, lievitare in me il senso d'imbarazzo per qualche lungo istante. Il tempo necessario per farmi riprendere, dopo la sarabanda di gaffes nelle quali mi sono esibito quasi senza accorgermene, come fossero dettate da uno schema meccanico che mi impediva di rendermi ben conto della situazione nella quale mi trovavo. Il silenzio dilaga per altri lunghissimi istanti. Poi, quasi avesse letto dentro i miei pensieri con la facilità con la quale si leggono le istruzioni di montaggio di una lampadina, l'ammaliante hostess riprende il filo della conversazione: “Sei giunto fin qui quasi senza rendertene conto, infatti è solo così che puoi trovare un posto come questo. Non ti preoccupare per le figuracce che hai fatto: la tua mente cosciente è in agitazione per quello che sta per conoscere”.
Ascoltare qualcuno mentre legge i tuoi pensieri proprio nel momento in cui questi passano per la tua mente, può essere un'esperienza mistica. C'è un che di inquietante, invece, nel capire che chi ti sta leggendo i pensieri conosce anche quello che sta per succedere. Decido di farmi sentire: “Cos'è questo posto? Come fai a sapere quello che sto pensando? Chi sei tu?”.
Il suo sorriso si apre come la più bella rosa di maggio, con l'evidente intento di lasciarmi interdetto, mentre con le note più suadenti che abbia mai sentito pronunciare da voce umana, mi risponde “Non ti posso dire niente, per ora. Tranne che sei qui perchè vuoi trovare la tua rotta, e io te la farò scoprire. Ma per far questo dobbiamo andare nel Profondo. Devi seguirmi”.
Le vorrei spiegare che io la seguirei volentieri anche all'inferno, ma sicuramente lei lo avrà già letto nei miei pensieri, quindi non spreco fiato e fisso il mio sguardo sulle sue spalle, che lei mi ha rivolto per mostrarmi che dovrò star dietro a quelle, mentre lei mi accompagnerà giù per degli altri scalini, che stanno dietro una porta che io non avevo ancora notato essere a fianco del bancone della reception, unico arredamento della stanza dalla quale stavamo per uscire. I gradini che stiamo scendendo sono al buio, segno che sono parecchi. Per un attimo mi chiedo come possa esistere un luogo così complesso dentro un relitto di un'antica nave. Ma forse è l'ultimo contatto con la realtà così come l'avevo conosciuta fino a quel momento, perchè la voce di quella misteriosa affascinante creatura mi annuncia: “Ora basta con le domande inutili. Ora andiamo nel Profondo. Giù, nel Profondo”. Ovviamente io non capisco, ma la seguo. Capire le cose, a quanto pare, non è più un compito che mi riguarda. Non so cosa mi stia aspettando, né dove sono, né chi sia quella bellissima creatura che mi sta portando, ma so che devo andare giù, nel Profondo.

(fine quinto episodio)

Marco Bertelli

martedì 19 marzo 2013

Una Benedizione

Periodo pasquale, periodo di Benedizioni. Io adoro le Benedizioni. Personalmente sono convinto che la Benedizione sia un qualcosa di estremamente importante e Sacro. Non fa differenza chi sia a Benedire, con che rito lo faccia e in nome di quale Dio. La Benedizione, a mio modo di vedere, è sempre e comunque un'energia positiva che, come tale, è sempre giusto accettare e piuttosto triste respingere. E' qualcosa di religioso, che però va oltre i dogmi e gli ordinamenti che ogni religione organizzata impone ai propri fedeli. “Ti auguro il Bene, la Prosperità, la protezione Divina”, questo è il senso che qualsiasi religione, attualmente (non sempre è stato così), attribuisce alla Benedizione. Se un musulmano, un buddista o persino il rappresentante di una religione sconosciuta, si presentassero a casa mia per Benedire, io lo accoglierei con gioia, così come ho fatto, oggi pomeriggio, col parroco della religione cattolica che mi è toccata in sorte alla nascita. Sappiamo tutti che oggi la Chiesa, intesa come istituzione, è in pieno fermento. Aria nuova sta tirando dalle parti del Vaticano, e tutti aspettano con ansia i cambiamenti che il nuovo Papa Francesco vorrà mettere in pratica. Sembra una persona davvero speciale Papa Francesco, forse vuole davvero dare un senso nuovo alla religione cattolica e a quell'enorme “macchina spirituale” che la chiesa dovrebbe rappresentare. In uno dei suoi primi discorsi l'ho sentito parlare con molto trasporto di Perdono. Valore divino, ma anche umano, che dovrebbe essere tra le prime virtù che un cristiano (ma perchè non anche i non-cristiani?) fa propria e professa. Credo di essere in perfetto accordo col nuovo Papa. Così ho voluto agevolare il lavoro di Perdono che la chiesa cattolica ha intenzione di portare avanti.
Io e il “mio” parroco non ci conosciamo personalmente (non frequento luoghi di culto), ma sapevo (aveva recapitato a tutto il quartiere regolare volantino col programma delle Benedizioni) che oggi sarebbe passato da me per Benedire. Nel cercare di fare in modo di fargli trovare una casa da Benedire in ordine, ho dato una sistematina ai libri che di solito tengo sparsi in soggiorno, dove si doveva svolgere il rito. Casualmente :) , sul tavolino di fronte al divano, dove alcuni dei miei libri in genere si aggrappano per non cadere per terra, “si è posata” in cima a tutti gli altri una copia de “La Cabala del Cavallo Pegaseo” di Giordano Bruno, famoso “autore” del sedicesimo secolo, non sempre, diciamo così, compreso appieno dalla santa sede (è pasqua e c'è il Papa nuovo, lasciatemi usare degli eufemismi, perbacco).
E' suonato il campanello, ho aperto la porta ed ho fatto accomodare il prete. Il dialogo è stato più o meno questo (senza eufemismi):
“Buongiorno Padre, si accomodi. E' qua per Benedire la casa, vero?” il mio benvenuto.
“Direi che ce n'è di bisogno!” il suo ingresso.
Segue orazione del parroco, quasi meccanica. Poco comprensibile perchè pronunciata abbastanza velocemente (c'era tutto un quartiere da benedire, infondo). L'aspersorio e lo sguardo verso l'alto, l'acqua benedetta che si asperge verso il basso. “Amen”, pronunciato da entrambi i presenti al rito.
Ai sacerdoti è conferita l'autorità di Benedire, e la facoltà (opzionale) di controllare dove si vanno ad infrangere le gocce di acqua Benedetta. Il parroco, incuriosito non so da che cosa, ha voluto avvalersi di questa facoltà. Senza chiedere il permesso (comunque glielo avrei accordato con gioia) prende nella mano senza aspersorio il libro col bel viso fiero di Giordano Bruno, la copertina umida.
“... ma questo lo conosco... un bell'elemento.... un domenicano se non mi sbaglio...” gli occhi in preda allo sconcerto di un prete che ha appena dato acqua ad un rogo non ancora spento.
“Se permette, Padre, le farei una piccola offerta, se l'accetta” mentre estraggo una banconota da cinque euro dal portafoglio, indubbiamente modesta dato l'evento.
“Ma certo, Grazie!!!” Intasca il parroco. “Perbacco, tu leggi molto!!!", dice il sacerdote uscendo.
“Grazie per la Benedizione, Padre!!!” saluto mentre si chiude la porta.

La chiesa sta davvero cambiando. Lunga vita a Papa Francesco!!!


Marco Bertelli


venerdì 8 marzo 2013

L'uomo e la Luna

Da tempo l'uomo aveva perso il sonno. Durante la frenesia del giorno sentiva sgretolarsi dentro l'Amore, la Bellezza, la Forza e la Gioia di vivere. La notte, nella sua solitudine, i suoi amati sogni che oramai si erano realizzati e che gli avevano donato tutto quello che credeva di desiderare, non lo venivano più a trovare.
Lo visitavano invece dei pensieri cupi che facevano a botte fra loro, impunemente, nella sua testa.
Il pensiero dell'insoddisfazione si avvinghiava al senso di colpa e lo trascinava al suolo in una lotta incessante, nella quale nessuno dei due aveva la meglio sull'altro ma entrambi trionfavano sulla sua pace.
Quella sera, esasperato, decise di uscire e di farsi trascinare dalla notte, mettendosi nelle sue buie mani.
Vagò senza chiedersi quale fosse la meta, camminando per chilometri e chilometri fuori dalla città. Si addentrò in una foresta, fitta di voci notturne che non aveva mai conosciuto, e di alberi che a malapena lasciavano intravedere un magnifico cielo stellato, nel quale si stagliava il corpo celeste più vicino e luminoso: la Luna.
Fu a causa di un distratto, quasi casuale sguardo verso l'alto che l'uomo si accorse di lei. La sua bianca luce e la sua forma così perfetta rapirono la sua attenzione. Si fermò a guardarla e subito fu preso dallo strano desiderio di avvicinarsi per vederla nella sua completezza.
Quasi per incanto si materializzò davanti ai suoi occhi una collina, su cui cominciò a salire.
Ad ogni passo verso l'alto la Luna gli appariva sempre più grande e luminosa, mentre gli alberi pian piano scomparivano sotto di lui, facendosi più piccoli. Giunto che fu in cima, la Luna era grandissima, tanto da coprire quasi tutta la volta celeste, e la sua luce era bellissima, tanto da togliere il fiato.
Era così vicina e vera che, quasi istintivamente, allungò la mano per toccarla, e la toccò.
All'istante l'uomo si sentì pervaso da un grandissimo senso di pace e da una gioia che mai avrebbe immaginato si potessero provare. “Ecco cosa cercavo, ecco cosa mi era sempre mancato” pensò l'uomo, “ecco cosa debbo possedere per essere felice”.
“Come posso fare per portarti via e tenerti sempre vicino a me?” Domandò gridando l'uomo, credendo di parlare al nulla e non aspettandosi nessuna risposta.
La risposta però arrivò subito: era una risata, che la Luna gli rimandò, divertita da quella sua disperata e assurda domanda. L'uomo, sorpreso e quasi impaurito, ritrasse la mano, e mentre la sua risata continuava, la Luna divenne piccolissima e lontana, confondendosi in un cielo tempestato di altre lontanissime stelle.
“Riesci ancora a vedermi adesso?” disse la Luna ironicamente e con un tono di sfida, “Sapresti riconoscermi tra tutte queste stelle?”.
Dopo aver fallito qualche goffo tentativo, indicando col dito l'astro sbagliato, l'uomo, deluso e indispettito, cercando di mascherare la propria frustrazione, gridò alla Luna: “Che senso ha tutto questo? Ti diverti così tanto a farmi sentire stupido? Io volevo solo darti il mio amore, e tu mi tratti con cattiveria”.
Allora la Luna si rimise a ridere di gusto, riapparve grandissima, luminosissima e vicinissima, così com'era qualche attimo prima, e rispose all'uomo: “Caro il mio bell'uomo, tutto questo ha senso, eccome. Per prima cosa io non sono stata affatto cattiva, ti ho solo dimostrato che tu non sei affatto sincero, perchè non è me che ami, ma l'ideale che tu hai di me, che è qualcosa che non mi riguarda; io sono un'altra cosa. E poi tu non mi ami affatto, perchè altrimenti mi avresti riconosciuto tra gli altri milioni di stelle. Ma preso com'eri dal desiderio di possedere me, non hai nemmeno pensato che anche un'altra stella qualsiasi del firmamento avrebbe potuto corrispondere al tuo ideale. Se tu credi di poter possedere, non potrai mai essere capace di amare. Del resto, se ci pensi bene, cos'è che ti ha spinto a venire quassù, se non il desiderio di possedere ciò che non avevi mai posseduto? E infine, se io mi fossi concessa a te, quanto tempo sarebbe passato prima che un nuovo desiderio di possesso ti facesse passare altre notti insonni?”
L'uomo si sentì cadere per terra, abbattuto dalle percosse che le parole della Luna gli avevano inferto. La Luna era davanti a lui, grandissima, luminosissima, bellissima, così come gli era apparsa la prima volta, ma ora non osava nemmeno sfiorarla con la mano che prima l'aveva toccata, procurandogli quella magnifica sensazione. Non aveva più parole, né pensieri ai quali attaccarsi per sentirsi meglio. La Luna lo guardò teneramente e si fece compassionevole. Prima di tornare a confondersi tra le altre stelle disse: “Io sarò sempre vicino a te, se mi saprai scegliere e se non desidererai mai di possedermi”.
L'uomo la guardò scomparire, rassegnato. Si coricò sull'erba della collina e aspettò l'alba senza pensare a niente. Mentre il Sole stava sorgendo il suo sguardo era ancora rivolto al cielo, e notò che mentre la luce del giorno si faceva sempre più forte, le stelle, anzichè dissolversi, sembravano cadere per terra.
Quando fece per alzarsi e prendere la strada del ritorno, si accorse che la foresta che aveva attraversato la notte prima, era sparita. Al suo posto c'era un'enorme distesa di fiori gialli. Avvicinandosi, vide che la foresta era diventata un immenso campo di mimose. Tantissime, almeno tante quante le Stelle che gli sembravano cadute dal cielo. L'uomo sorrise. Forse si sentiva Felice.
Era l'alba dell'otto marzo di un anno qualsiasi nella storia dell'umanità.

Marco Bertelli

mercoledì 6 marzo 2013

Le Miroir (Lo specchio) - 4^ episodio: sorprese

(riprende dal 3^ episodio)

Un altro viaggio in treno, stavolta per una destinazione a me nuova. In questa cittadina che si affaccia sullo Stretto della Manica, io non ero mai stato prima d'ora. Scendo alla stazione con l'animo di colui che capita in un posto per caso, un luogo che non aveva preventivato di visitare, anche perchè non è meta di turismo. I turisti ci sono, in effetti, ma qui ci passano e basta. Arrivano a Boulogne sur Mer per imbarcarsi su di un traghetto che li porti dall'altra parte della Manica con una rotta ben definita e certa. Io, invece, la rotta la devo trovare. I turisti sono in possesso di un biglietto dove la rotta è già scritta, io sono in possesso di un volantino pubblicitario in cui “la rotta” è solo promessa. Una promessa sottintende quasi sempre delle incognite, e le incognite a volte presagiscono sorprese. E qui, a Boulogne sur Mer, le sorprese a quanto pare non si fanno attendere.
Che cosa si aspetterebbe qualcuno che si trova in un luogo a lui sconosciuto e che cerca un posto specifico, munito di un indirizzo preciso? Che l'indirizzo esista, come minimo. Accade ovunque, in qualsiasi agglomerato urbano del pianeta. Tranne qui, a Boulogne sur Mer.
C'è un inghippo, e nemmeno tanto piccolo: tutte le persone a cui chiedo informazioni per raggiungere la mia destinazione, quella pubblicizzata nel volantino che mi si era spiaccicato in faccia a Parigi, conoscono il locale. “Le Miroir” è conosciutissimo qui a Boulogne, ma la cosa strana è che tutte le persone a cui chiedo lumi per raggiungerlo si mettono a ridere e rispondono che non esiste l'indirizzo; e lo dicono come se la loro risposta fosse la più ovvia, la più scontata del mondo. Beffardo è il loro atteggiamento quando, con la massima gentilezza che riesco ad esprimere in quel momento, domando di spiegarmi dove accidenti devo andare per entrare a “Le Miroir”: se ne vanno ridendosela di gusto, come si farebbe con uno sciroccato che chiede le coordinate astrali per raggiungere un'altra galassia.
La cosa più ovvia che può venire alla mente, in casi simili, è che si sia caduti vittima di uno scherzo, una specie di trappola dispettosa e senza costrutto, organizzata da qualche buontempone. Anche questo può accadere in qualsiasi agglomerato urbano del pianeta. Certamente non accade qui, a Boulogne sur Mer, dove molte sorprese pare abbiano scelto di darsi convegno e di sbizzarrire la loro vèrve creativa su “turisti per caso”, per di più naufraghi, come me. Una di queste mi viene a scovare proprio quando ho ormai abbandonato le ricerche di “Le Miroir”, e si manifesta, come è tipico delle sorprese, in modi e tempi inaspettati.
Approfittando della bella giornata di sole che la primavera sembra aver accordato anche a questa strana città, mi incammino verso il lungomare. La strada che costeggia lo stretto della Manica in questa zona è poco frequentata. E' un boulevard molto lungo; da un lato la strada, sopraelevata rispetto al mare, che dista un centinaio di metri separato dalla spiaggia, alla quale si accede tramite delle scalinate piuttosto strette che, percorrendo il largo marciapiede del viale, si incontrano ogni cento metri circa. In prossimità di ogni scalinata c'è una panchina, ognuna delle quali è contrassegnata da un numero. Di fronte ad ogni panchina c'è una statua di un personaggio famoso. Così, ad esempio, di fronte alla panchina n.1 c'è la statua di Napoleone, alla n.2 c'è De Gaulle, alla n.3 c'è Luigi XIV, eccetera.
Quando decido di sedermi per riposarmi e prendere un po' del sole di primavera sul viso, ho appena passato la panchina n.18 col bel faccione di Flaubert che stava di fronte, e che guardava perplesso una coppia di gabbiani innamorati che vi si era appollaiata sopra. Per non disturbare l'intimità dei volatili e non turbare ulteriormente Flaubert, mi siedo dunque sulla panchina n.19, in petto alla quale si staglia imperiosa la statua di lui: Cristophe Colombo. Non stavo ormai neanche più pensando a quello che ero venuto a fare a Boulogne, ma l'associazione 19+Colombo è scattata immediata nella mia mente. Prendo dalla tasca il volantino di “Le Miroir”, l'indirizzo dice: 19, boulevard Cristophe Colombo. Ma in questo boulevard, che non si chiama Colombo, non vedo nessun locale; ci sono solo automobili che sfrecciano sulla strada e dei giardinetti pubblici dall'altra parte. Mi avvicino incuriosito alla statua, su cui leggo un'iscrizione che recita: “qui, nel 1484, Cristophe Colombo naufragò. Riuscì a salvarsi a bordo di una scialuppa che attraccò al molo 26”. Mi rendo conto che è l'iscrizione più assurda che mai fu apposta su una statua commemorativa, non fosse altro che è scritta in italiano e che qui siamo in Francia, ma è anche la stessa cosa di cui parla il volantino di “Le Miroir”. Lo stupore e il disorientamento corrono a briglie sciolte nella mente per qualche istante. Poi, istintivamente, mi giro verso la scalinata, dove ad attendermi c'è l'ennesima sorpresa: appoggiato al primo gradino vedo un oggetto che sembra essere stato abbandonato lì per sbaglio: è un piccolo specchio. Ma non è uno specchio qualsiasi: è esattamente uguale a quello del volantino. L'indizio è chiaro: “Le Miroir” è qui, basta scendere la scalinata. Ce l'ho fatta; quando ormai non ci pensavo più, l'ho trovato. O forse sarebbe più corretto dire che è stato “Le Miroir” a trovare me. Mentre il cervello mastica svogliatamente questo amletico dubbio, ne approfitto per scendere la scalinata e vedere, prima di cantar vittoria, se davvero “Le Miroir” è qui, dal momento che le sorprese in questo posto sono all'ordine non del giorno, ma del minuto.
Scesi tutti i gradini mi trovo in spiaggia. Deserta. Costruzioni che possono somigliare a locali pubblici: zero. Davanti a me il mare, dietro di me il muro di cemento sottostante al boulevard. L'unico oggetto presente in spiaggia è il relitto di quella che sembra essere un'antica nave, il cui legno si presenta piuttosto male in arnese. Mi avvicino, con l'intento di trovare l'ennesima sorpresa, che credo a questo punto non mi possa essere negata. Infatti la trovo. Sulla chiglia ormai semidistrutta si legge a malapena una scritta in vernice ormai sbiadita: “Le Miroir”. La barca è grande, posso entrarci dalle falle che ne squarciano l'antico legno. Sono in quello che è rimasto della stiva. Di fronte a me c'è una porta. Tiro la maniglia, entro. Dal buio una dolce voce femminile mi saluta: “Ben arrivato a Le Miroir!!!”

(Fine quarto episodio)

Marco Bertelli