venerdì 16 ottobre 2015

Come in basso, così in alto

In Bassa Italia c'è Il Molise, regione con un basso reddito pro capite e a basso tasso di sviluppo; economicamente parlando, s'intende.
Una parte del territorio molisano, quello rivolto a sud, è detto “Basso Molise”, che potremmo definire, giusto per non andare fuori tema, a bassa densità di popolazione.
Il paesaggio è caratterizzato da colline la cui altezza, se paragonata ai monti del Matese che si scorgono in lontananza, è decisamente bassa.
E' basso anche il tasso di umidità di una mattina di ottobre, piena di quel sole che, a viva forza, scaccia le basse nubi che, tenebrose, hanno imperversato nei giorni precedenti e ti riscalda.
Un Sole che, inaspettato, dalla sua lontananza autunnale sembra stia cadendo per quanto è basso.
Un'illusione ottica, certo; ma anche una specie di messaggio subliminale, una sorta di consiglio occulto a calarsi nel paesaggio, a diventare parte di esso, a farsi, come lui, basso.
Certo, è ovvio: più ti fai “basso” e più vedi tutto “alto”, è una legge di Natura cui è facile obbedire immergendosi in questo paesaggio intrecciato di colline sinuose, piene di ulivi gonfi di oro verde (così viene giustamente chiamato il prodotto di quelle olive), di vigneti che hanno appena donato il loro generoso succo, di campi di grano, ora vuoti del loro pane, che stemperano di biondo il verde intenso che avvolge questo “basso” panorama.
Michele e Gina, che vivono da sempre nel Basso Molise, mi portano con loro alla scoperta di questi luoghi che oggi, grazie anche a quel basso Sole, sembrano quasi musei a cielo aperto, vere e proprie gallerie d'arte naturali. Arrivando alle porte di Casacalenda, moderno nome dell'antico borgo di Kalena, quella che era solo una sensazione diventa una inaspettata realtà: sorge nel bel mezzo degli alberi che precedono il paese un'imponente statua chiamata “l'Uomo di Pietra”. Espressione di Arte Moderna, in realtà l'Uomo di Pietra non ha un volto definito da lineamenti precisi, essendo strutturato da sottili scaglie di pietra, tutte disposte in parallelo rispetto al suolo su cui poggia, tiene le braccia aderenti al corpo e le gambe divaricate. Pare ben piantato a terra, ma pare anche che voglia darsi una spinta verso l'alto, per elevarsi: vuole “stare basso”, o vuole proiettarsi verso l'alto? La sua statura è imponente, anche se forse è solo una mia impressione, dal momento che qui, per forza di cose, mi sono “fatto basso”. L'arte, del resto, serve proprio a questo: a confondere la percezione ordinaria dei sensi, a spingerti a considerare punti di vista diversi, a imbrogliare la realtà scontata e ovvia, per trovarne un'altra più profonda e magari più autentica.
L'Uomo di Pietra, pur nella sua grande stazza, non è che una piccola anticipazione di quanto l'antico borgo di Kalena offre all'ignaro e basso visitatore, quale io sono.
Addentrandomi per il paese, che come i numerosi altri centri dell'eufemisticamente “Basso” Molise è pregno di Storia e tradizioni, mi è facile notare come spuntino in più luoghi quelle che al mio occhio inesperto sembrano anomale modifiche architettoniche, ma che in realtà, come mi spiegano gli amici che mi accompagnano, sono installazioni di opere d'arte contemporanea (che verrò poi a sapere essere in tutto diciotto) sparse per tutto il borgo, che ben si presta a trasformarsi in una vera e propria galleria d'arte a cielo aperto, dove l'antico e il moderno si fondono mirabilmente.
Casacalenda è un luogo dove le arti di tempi e di culture diverse si sovrappongono e si piacciono: il medievale si accoppia col contemporaneo e genera una bellezza fuori dal tempo.
Più che un luogo, Kalena è un'idea; un esperimento, evidentemente ben riuscito, covato per anni e poi realizzato da chi ora riveste la carica di Sindaco.
Michele Giambarba, questo è il nome del Primo Cittadino di Casacalenda, si è sempre occupato di promuovere la Cultura e l'Arte; prima come assessore e poi come Sindaco. E' alle prese con le sue ordinarie faccende amministrative quando ci vede entrare nei locali del Palazzo municipale. Siamo lì come semplici visitatori, ma quando vede il mio amico e suo omonimo Michele, col quale ha continui scambi professionali, si offre di farci da guida, portandoci a visitare quella che potrei definire la sede amministrativa più sorprendente che sia dato vedere. Tutti i locali del palazzo, che è antico ma di recente ristrutturazione, come le vie di Kalena sono cosparsi di Opere d'Arte Contemporanea. Sono tutte Opere donate da Artisti Italiani e stranieri che hanno avuto qui modo, in passato, di poter far conoscere la propria Arte, grazie alle iniziative che Michele Giambarba ha promosso negli anni. Ora, il municipio di Casacalenda raccoglie i frutti del proprio mecenatismo trasformandosi esso stesso in Museo d'Arte Contemporanea, a quanto pare di non “basso profilo”, se è vero che anche grazie a queste iniziative ora Casacalenda può sviluppare nuove attività di promozione del territorio e della Cultura locale. Non ultimo una rassegna cinematografica cui partecipano personaggi di spicco del mondo del cinema (uno tra tutti Nanni Moretti).
Mentre visito i locali del Municipio/Museo, ascolto Michele Giambarba che ci parla delle sue attuali e future iniziative culturali con una passione che in un qualsiasi uomo politico (specie se di “alto profilo”) è praticamente impossibile riscontrare. Non sta cercando di venderci qualcosa, non è neppure possibile che cerchi di accaparrarsi il nostro voto alle prossime elezioni, visto che nessuno di noi è iscritto alle liste elettorali di Kalena. E' solo un uomo pieno di Passione per l'Arte e di Amore per la propria Terra: la sua sfida era quella di fare delle due “l'uno”, e ci sta riuscendo.
Non dimentichiamo, però, che qui siamo in Bassa Italia, e per la precisione nel Basso Molise, e forse io mi son fatto troppo “basso”, al punto che Michele Giambarba mi sembra enorme come L'Uomo di Pietra che ci ha accolti alle porte di Kalena.
Non è realisticamente pensabile che un Sindaco così possa essere da modello per gli “alti” politici nazionali. Bassa Italia, Basso Molise, basso numero di elettori, basse problematiche, bassa cassa di risonanza, basso impatto a livello nazionale: più basso di così...
Ovvio, la politica ”alta” ha esigenze ben più “alte” rispetto a quelle di un borgo di 2.500 anime come Kalena: “alti” progetti, “alti” interessi, “alti” obbiettivi. Ad “alti” livelli certe passioni devono stare “basse”, altrimenti sarebbe un disastro.
Hai visto mai che anche la gente venisse contagiata da quelle “basse” passioni?
Magari va a finire che la gente sta meglio e diventa quasi felice: e non sia mai, come faresti poi a controllarla? Sarebbe di sicuro la fine dell'alta politica.
No, tutto ciò non è realistico. Anche se vedendo tutta quell'altezza artistica facilmente si possono confondere i concetti di “alto” e “basso”, di “reale” e “irreale”.
E' una confusione salutare, però. Dalla quale affiora la certezza che in quest'epoca è più facile trovare “l'Alto” dove non lo cercheresti mai: nel “Basso”.

Marco Bertelli

martedì 27 gennaio 2015

Il senso della Memoria


La memoria è una cosa fantastica. Saperla usare è ciò che può renderci migliori o, quanto meno, farci vivere meglio. E' una facoltà che noi umani potremmo usare consapevolmente, a differenza di alcuni animali, che la usano istintivamente; oggi, camminando nel mio quartiere, ho visto un gatto che si nascondeva da un cane che passeggiava per di lì con padrone al seguito. Li avevo già visti litigare fra loro (cane e gatto, intendo) senza che nessuno riuscisse a sopraffare l'altro, ma oggi il micio ha ritenuto più saggio acquattarsi sotto un'auto parcheggiata, per evitare altre risse.
Noi umani non siamo così. Abbiamo metodi assai più raffinati per servirci della memoria.
Oggi, per esempio, l'uso della memoria è istituzionalmente impegnato nel ricordo di una delle più disarmanti vergogne che ha segnato l'esistenza del genere umano: il folle tentativo di sterminio, in parte purtroppo riuscito, perpetrato dai nazisti nei confronti degli ebrei durante il secondo conflitto mondiale.
Allo scopo di non farci dimenticare l'orrore del male che si insinua e devasta l'anima collettiva, oggi le istituzioni ci mostrano immagini raccapriccianti di corpi orrendamente segnati dalla fame, ammassati in fila all'ingresso di stabilimenti all'interno dei quali verranno trasformati in cenere; ci snocciolano cifre di famiglie distrutte, di età spezzate, di storie mai scritte, di vite alle quali è stato impedito di vivere. Tutto questo per farci inorridire (… e ci mancherebbe altro) e per farci gridare tutti all'unisono: “Mai più!!! Mai più Olocausto, mai più campi di sterminio, mai più ingiustizia, mai più razzismo, mai più guerre e mai più odio!!!”. Grida nelle quali tutti (a parte costruttori d'armi e leaders fanatico/religiosi di ogni sorta, che comunque in teoria dovrebbero ancora essere in larga minoranza) si riconoscono, ovviamente.
Riconoscersi in queste grida, però, non basta. Non sono serviti a molto, evidentemente, settant'anni di “giorni della memoria”, se non sono cessate guerre, stragi, attentati e neppure olocausti; cambiano carnefici e vittime, cambiano i modi, i pretesti, forse, ma gli eventi tragici non sono certo estinti.
Del resto, noi umani non siamo come i gatti: a loro basta evitare di avere a che fare con i cani, basta nascondersi sotto una macchina parcheggiata. Basta eliminare dal possibile futuro la causa di uno sconveniente passato; per loro è semplicissimo, per noi umani, invece, è molto più complicato.
Certo, in qualcosa sbagliamo se è vero che, insistendo nel non dimenticare, ripetiamo continuamente gli stessi sbagli, lamentandocene, per giunta.
Forse dovremmo trovare un nuovo senso nella memoria, forse non la interpretiamo nel giusto senso, e qualcosa ci sfugge.
Eppure, rivedendo quelle immagini che oggi ricorrono con straziante frequenza, qualcosa che, forse, abbiamo dimenticato di notare c'è. Non è nei volti pieni di angoscia, o nei corpi privi di vita ammassati in fosse comuni, non è nemmeno negli sguardi pieni d'odio degli aguzzini nazisti, peraltro anch'essi privi di vita (e di dignità, quantunque ostentata).
Forse dovremmo stare più attenti agli scenari. Notare, per esempio, come erano costruiti i lager, padiglioni squadrati, senza spunti architettonici di rilievo, nulla che possa far pensare al minimo scatto di fantasia in chi li ha concepiti. Le recinzioni che le circondano: invalicabili, apparentemente invincibili.
E quel cancello, forse l'unico particolare che lasci pensare ad uno scatto d'arte di chi l'ha concepito. Tant'è vero che qualcuno ha pensato bene di “onorarlo” con una scritta: “Il lavoro fa liberi” (tradotto).
Chi entrava in un lager non aveva scelta, ne era costretto. Passava per quel cancello leggendo quella scritta, e forse non capiva. Le cose gli erano chiare, forse, poco prima di entrare nella camera a gas.
Fino ad oggi ci hanno detto che il senso nel quale deve essere interpretata la memoria è questo: le vittime entrano nella direzione della scritta “arbeit macht frei”, e noi abbiamo sempre seguito quella direzione.
A me piacerebbe percorrerla nel senso opposto, dove si legge “frei macht arbeit”: “libertà fa lavoro”. A pensarci bene, sarebbe un bel modo di onorare la memoria di quegli ebrei innocenti.
Sono stati uccisi poco dopo aver letto quella scritta che, forse, dava loro un minimo di speranza.
Noi abbiamo creduto, fino ad oggi, che quella scritta dovesse essere tenuta così com'era, ma loro, che sono stati sacrificati in nome di una causa folle, poco prima di entrare nelle stanze dove li avrebbero uccisi, hanno potuto girarsi e leggere quella scritta per il verso “giusto”.
Non hanno permesso loro di tornare indietro a dircelo.
E' per questo che abbiamo ancora bisogno di riflettere sulla memoria, e ancora non sappiamo cosa voglia dire essere liberi.


Marco Bertelli