“Fischia il vento, infuria la bufera, scarpe rotte eppur bisogna andar...”.
Della famosa canzone del Partigiano forse è la frase più importante.
Sicuramente quella più attuale.
Le “scarpe rotte” che un tempo erano una condizione di vita,
ora sono un'efficace metafora dei tempi che stiamo attraversando.
Il problema è
che noi non ce ne accorgiamo. Non vediamo che le scarpe alla moda, eleganti e
lucide che, se già non possediamo, comunque desideriamo, in realtà sono rotte.
Sono rotte come idea, come simbolo, come mezzo di trasporto ideale per la
società futura.
Il Partigiano che non aveva paura di mettere le scarpe rotte
anche d'inverno, nella neve e nel fango, sapeva che era necessario patire la
pena di indossarle, perchè non c'era alternativa.
Ciò che gli faceva sentire
meno la sofferenza e il dolore era la certezza di una vittoria che avrebbe
potuto regalargli un paio di scarpe nuove e molto di più.
Capiva che non aveva
senso lamentarsi del freddo o dei sassi che dilaniavano la suola dei suoi
stivali durante le sue pericolose incursioni, perchè “...eppur bisogna andar”.
Noi oggi sfoggiamo scarpe nuove e vogliamo vestire alla moda, per andare... da
nessuna parte.
Ci lamentiamo se le pozzanghere ci costringono a stare attenti a
dove camminiamo, e malediciamo chi, magari per sbaglio, ci pesta i piedi e ce le
sporca.
Crediamo, molto ingenuamente, che il nostro paio di scarpe nuove e alla
moda siano il punto di arrivo, la nostra conquista.
Avessimo orecchie per
ascoltare il Partigiano, scopriremmo, forse, che le scarpe, rotte o nuove che
siano, servono sempre e comunque per camminare, per portare i piedi da qualche
parte.
Magari ci accorgeremmo anche che il Partigiano sapeva benissimo dove
andare, mentre noi non sappiamo nemmeno in che direzione incamminarci, tanta è
la paura di affrontare un sentiero insidioso per le nostre amate scarpe nuove.
Intanto, da non molto lontano, si sente “fischiare il vento” e “infuriare la
bufera”.
Sento la necessità di diventare Partigiano.
Marco Bertelli