giovedì 19 novembre 2020

Rapsodia di ricordi - 1^ parte

 


Il Sommo Poeta ci illumina:
 
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa il tuo dottore." 
Inferno V - (121/123)
 
Visti i tempi assurdi che stiamo attraversando, nessuna citazione meglio di questa può descrivere a fondo lo scoramento generale che li caratterizza. 
Eppure, anche se attaccati come siamo al momento attuale proviamo una certa sofferenza, calarsi nel ricordo (che in questo caso non deve essere necessariamente troppo indietro nel tempo) è una tentazione quasi irresistibile. 
La rabbia che sentiamo quando pensiamo a qualche mese fa, quando potevamo disporre di tutte le “libertà” che eravamo convinti di possedere, cozza violentemente contro la dolcezza del ricordo di un caffè o un aperitivo preso al bar in compagnia di amici. 
Il risultato di tale scontro può avere esiti, in linea di massima, devastanti o costruttivi: in pratica, o ci lasciamo devastare dalla rabbia, con pessime ripercussioni sulla psiche e quindi sulla salute, oppure possiamo riflettere, mettere in discussione il tipo di approccio che abbiamo con la realtà, e in definitiva entrare in contatto con noi stessi, allo scopo di conoscerci meglio; il succo dell'introspezione, insomma, per quanto si possa trattare di una introspezione superficiale. 
Cercando proprio di perseguire questo umile scopo, ho provato a ripercorrere all'indietro le mie riflessioni, quelle che avevo scritto non moltissimo tempo fa sul mio “profilo social”. Ciò che, in linea di massima, mi è balzato all'occhio è il paradosso. 
E', in effetti, l'atteggiamento mentale, l'approccio psicologico che, stranamente, è tale quale a quello che domina lo stato attuale. 
Parlo per me, certo, ma credo di non essere l'unico a constatare che così come oggi non riusciamo a tollerare la situazione che stiamo vivendo, allo stesso modo, solo pochi anni fa e non certo in un'altra epoca, eravamo intolleranti verso cose, fatti, persone e situazioni che vivevamo allora. 
L'unica differenza è che il disagio di oggi è molto più amplificato rispetto ad allora; ed è per questo che ci sentiamo quasi spinti oltre i nostri limiti di sopportazione; ma se fossimo sinceri con noi stessi, dovremmo ammettere che il disagio di oggi non è altro che il “raccolto”, il frutto della semina fatta su quel terreno fertile che era il disagio di ieri. 
Forse, chissà, esaminandoci meglio, dovremmo considerare altre “sementi” per i futuri raccolti, ma questa è solo una mia considerazione personale, ovviamente. 
Ma iniziamo la rapsodia dei ricordi. Circa tre anni fa, i media (i quotidiani in primis) lanciavano le loro campagne di sdegno contro le numerose violenze carnali che avevano deciso di mettere in prima pagina. Non che le violenze carnali (crimine tra i più infami) mancassero alle cronache di allora (di ogni tempo, ahimè, si dovrebbe dire), è solo che, evidentemente, avevano deciso di usarle come strumento catartico con lo scopo di diffondere il loro “oro nero”: l'odio. 
Questo, di seguito, il mio “ricordo” di tre anni fa: 

“Vagavo nel nulla, cercando il tutto. Addirittura l'agognavo mentre, seduto ad un tavolo del dehors di un bar di industriata provincia, di mattina presto, in una stagione che dovrebbe essere l'autunno, sorseggiavo un caffè. 

La caratteristica del posto è che chi lo abita non desidera stare tranquillo, e se la giornata è appena iniziata, il canto del gallo che dovrebbe essere l'inno alla natura del posto, è soffocato dalle voci alte ed agitate di chi scartabella i quotidiani freschi di stampa che col loro fruscio fanno il coro col tintinnio delle tazzine percosse dai cucchiaini che, invano, mescolano lo zucchero nel caffè.
Non può mai essere dolce il caffè di chi legge il giornale la mattina da queste parti; non se le notizie sono tali da far travasare la bile a chi le legge; non se chi le legge non ha sufficiente memoria da ricordare che tali notizie sono il ricapitolarsi di fatti che sono sempre successi. Così il lettore crede che le violenze carnali, di cui i giornali celebrano il revival in questo periodo, siano un male recentissimo importato da paesi "sottosviluppati", e si indigna, quasi compiaciuto di aver riconosciuto l'origine e gli autori delle schifose malefatte. Un'indignazione che sentono come necessaria, e che ogni mattina viene celebrata allo stesso modo, o per questo o per altro scempio raccontato dai magici fogli di carta che, imperterriti, continuano i loro duetti con tazzine e cucchiaini, e che raccontano "tutto e nulla"; basta crederci.
E' così che tanto livore e rabbia salgono come nebbia e si confondono con la nebbia degli scarichi delle auto che già cominciano a rumoreggiare per le strade, facendo tossire persino i galli che, ahimè, debbon tacere.
Assisto a tutto questo tra il divertito e l'attonito, e mi basta chiudere per un istante gli occhi per vedermi altrove; magari a Paris, in cima alla scalinata di Montmartre, in una fredda e uggiosa sera invernale, da dove ammiro una metropoli del tutto indifferente persino a sè stessa: alle spalle la famosa basilica, poco sotto l'arcana giostra con cavalli bianchi, ormai inoperosa, e più sotto la vita notturna Parigina, col suo artistico brulicare di personaggi multicolori; e una musica che sale con la bruma. 
Un pallido e beffardo jazz, senza tempo nè luogo.
Da tutto a nulla non c'è distanza, non c'è sforzo.
Solo un battito di palpebre.” 

Marco Bertelli 




3 commenti:

  1. La leggo per la prima volta nel blog con tanto piacere e tanta ammirazione. Spero di poterla leggere ancora a lungo

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