Il Sommo Poeta ci illumina:
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa il tuo dottore."
Inferno V - (121/123)
Visti i tempi assurdi che
stiamo attraversando, nessuna citazione meglio di questa può
descrivere a fondo lo scoramento generale che li caratterizza.
Eppure, anche se attaccati
come siamo al momento attuale proviamo una certa sofferenza, calarsi
nel ricordo (che in questo caso non deve essere necessariamente
troppo indietro nel tempo) è una tentazione quasi irresistibile.
La rabbia che sentiamo
quando pensiamo a qualche mese fa, quando potevamo disporre di tutte
le “libertà” che eravamo convinti di possedere, cozza
violentemente contro la dolcezza del ricordo di un caffè o un
aperitivo preso al bar in compagnia di amici.
Il risultato di tale scontro
può avere esiti, in linea di massima, devastanti o costruttivi: in
pratica, o ci lasciamo devastare dalla rabbia, con pessime
ripercussioni sulla psiche e quindi sulla salute, oppure possiamo
riflettere, mettere in discussione il tipo di approccio che abbiamo
con la realtà, e in definitiva entrare in contatto con noi
stessi, allo scopo di conoscerci meglio; il succo dell'introspezione,
insomma, per quanto si possa trattare di una introspezione
superficiale.
Cercando proprio di
perseguire questo umile scopo, ho provato a ripercorrere all'indietro
le mie riflessioni, quelle che avevo scritto non moltissimo tempo fa
sul mio “profilo social”. Ciò che, in linea di
massima, mi è balzato all'occhio è il paradosso.
E', in effetti,
l'atteggiamento mentale, l'approccio psicologico che, stranamente, è
tale quale a quello che domina lo stato attuale.
Parlo per me, certo, ma
credo di non essere l'unico a constatare che così come oggi non
riusciamo a tollerare la situazione che stiamo vivendo, allo stesso
modo, solo pochi anni fa e non certo in un'altra epoca, eravamo
intolleranti verso cose, fatti, persone e situazioni che vivevamo
allora.
L'unica differenza è che il disagio di oggi è molto più
amplificato rispetto ad allora; ed è per questo che ci sentiamo quasi spinti
oltre i nostri limiti di sopportazione; ma se fossimo sinceri con noi
stessi, dovremmo ammettere che il disagio di oggi non è altro che il
“raccolto”, il frutto della semina fatta su quel terreno fertile che
era il disagio di ieri.
Forse, chissà, esaminandoci
meglio, dovremmo considerare altre “sementi” per i futuri
raccolti, ma questa è solo una mia considerazione personale,
ovviamente.
Ma iniziamo la rapsodia dei
ricordi. Circa tre anni fa, i media (i quotidiani in primis)
lanciavano le loro campagne di sdegno contro le numerose violenze
carnali che avevano deciso di mettere in prima pagina. Non che le
violenze carnali (crimine tra i più infami) mancassero alle cronache
di allora (di ogni tempo, ahimè, si dovrebbe dire), è solo che, evidentemente, avevano deciso di usarle come strumento catartico con lo scopo di
diffondere il loro “oro nero”: l'odio.
Questo, di seguito, il mio
“ricordo” di tre anni fa:
“Vagavo nel nulla, cercando il tutto. Addirittura l'agognavo mentre, seduto ad un tavolo del dehors di un bar di industriata provincia, di mattina presto, in una stagione che dovrebbe essere l'autunno, sorseggiavo un caffè.
La caratteristica del posto
è che chi lo abita non desidera stare tranquillo, e se la giornata è
appena iniziata, il canto del gallo che dovrebbe essere l'inno alla
natura del posto, è soffocato dalle voci alte ed agitate di chi
scartabella i quotidiani freschi di stampa che col loro fruscio fanno
il coro col tintinnio delle tazzine percosse dai cucchiaini che,
invano, mescolano lo zucchero nel caffè.
Non può mai essere dolce il
caffè di chi legge il giornale la mattina da queste parti; non se le
notizie sono tali da far travasare la bile a chi le legge; non se chi
le legge non ha sufficiente memoria da ricordare che tali notizie
sono il ricapitolarsi di fatti che sono sempre successi. Così il
lettore crede che le violenze carnali, di cui i giornali celebrano il
revival in questo periodo, siano un male recentissimo importato da
paesi "sottosviluppati", e si indigna, quasi compiaciuto di
aver riconosciuto l'origine e gli autori delle schifose malefatte.
Un'indignazione che sentono come necessaria, e che ogni mattina viene
celebrata allo stesso modo, o per questo o per altro scempio
raccontato dai magici fogli di carta che, imperterriti, continuano i
loro duetti con tazzine e cucchiaini, e che raccontano "tutto e
nulla"; basta crederci.
E' così che tanto livore e
rabbia salgono come nebbia e si confondono con la nebbia degli
scarichi delle auto che già cominciano a rumoreggiare per le strade,
facendo tossire persino i galli che, ahimè, debbon tacere.
Assisto a tutto questo tra
il divertito e l'attonito, e mi basta chiudere per un istante gli
occhi per vedermi altrove; magari a Paris, in cima alla scalinata di
Montmartre, in una fredda e uggiosa sera invernale, da dove ammiro
una metropoli del tutto indifferente persino a sè stessa: alle
spalle la famosa basilica, poco sotto l'arcana giostra con cavalli
bianchi, ormai inoperosa, e più sotto la vita notturna Parigina, col
suo artistico brulicare di personaggi multicolori; e una musica che
sale con la bruma.
Un pallido e beffardo jazz, senza tempo nè luogo.
Da tutto a nulla non c'è
distanza, non c'è sforzo.
Solo un battito di
palpebre.”
Marco Bertelli
La leggo per la prima volta nel blog con tanto piacere e tanta ammirazione. Spero di poterla leggere ancora a lungo
RispondiEliminaGrazie!!! :)
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