mercoledì 6 febbraio 2013

Le Miroir (Lo specchio) - 2^ episodio: ritmi metropolitani

(riprende dal 1^ episodio)

Tra la mia provincia di partenza e la metropoli di arrivo esiste una distanza fisica misurabile in un paio di centinaia di chilometri, e una distanza temporale che varia a seconda del mezzo di trasporto utilizzato, ed è calcolabile all'incirca con un giro e mezzo/due di lancette che misurano minuti su un orologio di ordinaria precisione. Esiste però un altro tipo di distanza, quella “umana”, che va oltre le convenzionali dimensioni spazio/temporali. Misura l'intensità con la quale una metropoli incide sullo stato d'animo delle persone, evidenziandone gli effetti sul loro corpo fisico e, di conseguenza, sul loro comportamento. La distanza “umana” che esiste tra le persone e la metropoli non è misurabile con apparecchiature tecnologiche, né quantificabile con valori scientifici. Ciò, però, non significa affatto che non sia rilevabile. La puoi comodamente osservare stando scomodamente appoltronato su un qualsiasi sedile in una carrozza di seconda classe di un treno mediamente frequentato che scivola sulle rotaie, risalendo la via Emilia con tutte le sue città. I treni a medio/lunga percorrenza sono luoghi virtuali o non-luoghi, come si preferisce. Sono sale d'attesa in cui si proietta la propria vita da un altra parte e in un altro orario, con persone diverse da quelle presenti. La prima cosa che fa un abituale passeggero che deve frequentare per un ora e mezza il treno, dopo essersi seduto, è tentare di scoprire ciò che succede fuori dal posto dove si trova, o cosa succederà quando arriverà . Può aprire il giornale per confermare a se' stesso cosa sta succedendo alla nazione, chiamare al cellulare qualcuno che lo sta aspettando alla destinazione, può connettersi wireless a lontanissime borse asiatiche, per avere l'oroscopo finanziario della giornata, e tante altre cose simili. Ciò che proprio non riesce a fare è liberarsi dal vortice che lo sta risucchiando dentro la metropoli. Un vortice che non tiene conto di quanto distante sei, di quanto tempo ti serve per raggiungerla. Buca lo spazio e divora il tempo, ti entra in testa e fa sparire il luogo dove ti trovi e le persone che in quel momento ti sono intorno. Il finestrino che trasmette le immagini del panorama al cui fianco sfreccia il treno è inesistente, gli occasionali compagni di viaggio che siedono a fianco o di fronte sono ombre, spesso a loro volta intente a fare la stessa cosa: vivere dentro ad un sogno, proiettando altrove una loro realtà. Quanto è “umanamente”distante Milano dalla provincia? A occhio e croce si direbbe qualche manciata di kb di connessione internet, o un trillo di suoneria di cellulare, ma nella mente di quelle persone la metropoli è arrivata già prima, annullando ogni distanza “misurabile”. Risiede nella loro mente, sotto forma di cose da fare, decisioni da prendere, “speriamo che non...”, “magari ci fosse...”, “e se io facessi...”, e altri giochini interessanti che durano il tempo di un viaggio in treno, al termine del quale il vortice si spegnerà. Davanti ai loro occhi si spalancherà lo scenario nel quale verrà rappresentata la differenza tra le loro realtà virtuali, vissute fino a poco prima sul sedile del treno, e i fatti reali che accadranno nella loro giornata. Il fascino della metropoli sta tutto nello scoprire questa differenza: può essere una delusione, se i fatti smentiranno l'immaginazione, oppure una vittoria, nel caso la giornata abbia superato le aspettative. Milano è una promessa a se' stessi, che tutti coloro che ogni giorno scendono da un treno in una delle sue tante stazioni, trascinati da uno strano vortice, si impegnano a mantenere. Non importa se ci riusciranno o meno, l'indomani ce ne sarà un'altra uguale o migliore.
Io, anche se nella condizione di naufrago, non sono esente dal fascino della metropoli, e il vortice Milano risucchia anche me, al pari degli altri. Un naufrago, però, non può permettersi di pensare alla promessa dell'indomani, deve stare attento a mantenere quella dell'oggi.
Ho promesso a me stesso, oggi, di trovare una rotta nuova, e così sia.
Scendo dal treno, poi dal trampolino della scalinata della stazione centrale, che mi lancia in un tuffo nello spazio aperto della metropoli. Con un'andatura che in provincia è considerata “normale” mi incammino nella zona prospiciente la stazione, e le persone mi sorpassano sfrecciando da ogni parte, con l'andatura che a Milano è considerata “normale”. La mia relativa lentezza viene scambiata per esitazione da qualcuno che nelle altrui esitazioni, evidentemente, trova materia di business. Vengo avvicinato da un tipo che mi propone ciò che lui chiama “paradiso”. Trovare il paradiso in terra è un po' la rotta che tutti vorrebbero seguire, ma c'è qualcosa in questo “paradiso” che mi convince poco; il tipo mi mostra una bustina trasparente dove è contenuta della polvere bianca, e col suo accento poco lombardo mi spiega che per una trentina di euro potrò conoscere, previa inalazione, le divine delizie dell'assoluto. Tento di spiegargli che, se per conoscere “il paradiso” dovessimo metterla sul prezzo, allora i monaci buddisti del Tibet, inalando sola aria, le divine delizie dell'assoluto le assumono quotidianamente, gratis. Il tipo non si capacita che ci sia in giro una banda di spacciatori concorrenti che vende il “paradiso” a prezzi così stracciati. Se ne va tra lo scoraggiato e l'incazzato. Tra me e me sorrido, mentre penso che ci sono in giro naufraghi assai più naufraghi di me, e qui a Milano basta adeguarsi all'andatura che viene considerata “normale” per evitarli. Con l'adeguamento dell'andatura ai ritmi metropolitani, fra l'altro, potrò raggiungere il cuore della città più velocemente. Prima di arrivarci, però, decido che un buon caffè può essere adatto per farmi sostenere il passo ai ritmi più elevati che la situazione richiede. E' ormai l'ora dell'aperitivo quando entro in un bar in un viale non distante dal centro. Il locale è frequentato da varie categorie metropolitane. Qualche imprenditore in compagnia del cliente, giornalisti in pausa aperitivo (la sesta della mattinata) in compagnia di colleghi di altre testate, esponenti (non si capisce a quale livello) di case di moda in compagnia della collezione autunno/inverno prossimo, che indossano con ostentazione pretendendo gli altrui commenti di approvazione. Vi sono poi clienti che apparentemente non appartengono a nessuna particolare categoria metropolitana, cui sembra essere compresa la mia categoria di naufrago. Capisco che non è così quando ordino il mio caffè, il che sembra un eresia dal momento che “questa sarebbe l'ora dell'aperitivo”, come suggeriscono i tanti contenitori tutti pieni di tartine e salatini che occupano l'intero bancone del bar. A questi si aggiungono gli sguardi straniti del barista e dei clienti, indipendentemente dalla loro categoria metropolitana di appartenenza. A Milano non ci si aspetta che una persona “normale” si prenda la briga di spezzare il ritmo di una giornata metropolitana. Su questo, sui ritmi che scandiscono la vita quotidiana, la metropoli genera i battiti del suo cuore. Puoi far parte della categoria che vuoi, puoi andare dove vuoi, ma devi adeguarti al ritmo. I tuoi passi devono seguire il ritmo, il tuo stomaco deve seguire il ritmo, i tuoi pensieri e il tuo stato d'animo debbono adeguarsi al ritmo. Vivere qui significa andare a ritmo con “il tutto metropolitano”, e il ritmo non lo decidi tu, è qualcosa di molto più grande di te. Devi imparare solo a lasciarti coinvolgere.
Non senza imbarazzo, mio e del barista, ottengo il mio caffè, da bere non sul banco, ma in disparte.
Lo consumo in fretta (a ritmo), e mentre il bar si fa una ragione delle stranezze di un naufrago, esco e riprendo il mio ritmico cammino. Mentre i miei passi riflettono su quale sia il ritmo giusto da seguire, la mia mente alambicca sui pro e i contro dell'adeguarsi a un qualcosa che di per se' non mi garantirebbe una navigazione ideale. Il vortice che mi ha risucchiato qui mi vuole trattenere, ma una parte di me vorrebbe trovare un vortice che da qui mi portasse via.
Mentre la mia mente cerca vortici, i miei piedi ritmici mi portano nel centro della vorticosa metropoli, dove il brulicare di metropolitani è reso più fitto dalla folla dei turisti. Nel centro di Milano le attrattive non mancano: i turisti sguazzano dalle bellezze di un Duomo dalle guglie che sembrano afferrare il cielo, tirandolo giù per far sembrare la Madonnina d'oro ancora più alta di lui, alle stranezze di variopinti personaggi neo-punk che attraverso il trucco del loro viso e le loro creste multicolori mostrano agli occhi della gente quanto può sbizzarrirsi la voglia di non restare anonimi. Mi imbatto in un capannello di persone che circonda il set di un servizio fotografico. La moda è di casa qui a Milano. Riesco a farmi strada tra gli altri come me incuriositi. Le modelle sono bellissime, potrei, come tutti quelli vicini a me, star qui mesi ad ammirarle. Parlano francese. Mentre aspettano di esibirsi in altri scatti, tra loro, si scambiano opinioni sulla location. Piazza Duomo a Milano è carina, dicono, c'è gente divertente, ma Parigi è un'altra cosa, alla fine concordano. Concorderei anch'io, se mi notassero. In effetti Parigi è tutta un'altra cosa: la sua bellezza “monumentale”, la sua cultura così all'avanguardia, gli artisti dalle idee così libere. Sento la presenza di un vortice. Forse quello che una parte di me si augurava di trovare. Il vortice mi parla, suggerisce: via da qui, à Paris...

(Fine secondo episodio)

Marco Bertelli

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