Tra la mia provincia di partenza e la
metropoli di arrivo esiste una distanza fisica misurabile in un paio
di centinaia di chilometri, e una distanza temporale che varia a
seconda del mezzo di trasporto utilizzato, ed è calcolabile
all'incirca con un giro e mezzo/due di lancette che misurano minuti
su un orologio di ordinaria precisione. Esiste però un altro tipo di
distanza, quella “umana”, che va oltre le convenzionali
dimensioni spazio/temporali. Misura l'intensità con la quale una
metropoli incide sullo stato d'animo delle persone, evidenziandone
gli effetti sul loro corpo fisico e, di conseguenza, sul loro
comportamento. La distanza “umana” che esiste tra le persone e la
metropoli non è misurabile con apparecchiature tecnologiche, né
quantificabile con valori scientifici. Ciò, però, non significa
affatto che non sia rilevabile. La puoi comodamente osservare stando
scomodamente appoltronato su un qualsiasi sedile in una carrozza di
seconda classe di un treno mediamente frequentato che scivola sulle
rotaie, risalendo la via Emilia con tutte le sue città. I treni a
medio/lunga percorrenza sono luoghi virtuali o non-luoghi, come si
preferisce. Sono sale d'attesa in cui si proietta la propria vita da
un altra parte e in un altro orario, con persone diverse da quelle
presenti. La prima cosa che fa un abituale passeggero che deve
frequentare per un ora e mezza il treno, dopo essersi seduto, è
tentare di scoprire ciò che succede fuori dal posto dove si trova, o
cosa succederà quando arriverà . Può aprire il giornale per
confermare a se' stesso cosa sta succedendo alla nazione, chiamare al
cellulare qualcuno che lo sta aspettando alla destinazione, può
connettersi wireless a lontanissime borse asiatiche, per avere
l'oroscopo finanziario della giornata, e tante altre cose simili. Ciò
che proprio non riesce a fare è liberarsi dal vortice che lo sta
risucchiando dentro la metropoli. Un vortice che non tiene conto di
quanto distante sei, di quanto tempo ti serve per raggiungerla. Buca
lo spazio e divora il tempo, ti entra in testa e fa sparire il luogo
dove ti trovi e le persone che in quel momento ti sono intorno. Il
finestrino che trasmette le immagini del panorama al cui fianco
sfreccia il treno è inesistente, gli occasionali compagni di viaggio
che siedono a fianco o di fronte sono ombre, spesso a loro volta
intente a fare la stessa cosa: vivere dentro ad un sogno, proiettando
altrove una loro realtà. Quanto è “umanamente”distante Milano
dalla provincia? A occhio e croce si direbbe qualche manciata di kb
di connessione internet, o un trillo di suoneria di cellulare, ma
nella mente di quelle persone la metropoli è arrivata già prima,
annullando ogni distanza “misurabile”. Risiede nella loro mente,
sotto forma di cose da fare, decisioni da prendere, “speriamo che
non...”, “magari ci fosse...”, “e se io facessi...”, e
altri giochini interessanti che durano il tempo di un viaggio in
treno, al termine del quale il vortice si spegnerà. Davanti ai loro
occhi si spalancherà lo scenario nel quale verrà rappresentata la
differenza tra le loro realtà virtuali, vissute fino a poco prima
sul sedile del treno, e i fatti reali che accadranno nella loro
giornata. Il fascino della metropoli sta tutto nello scoprire questa
differenza: può essere una delusione, se i fatti smentiranno
l'immaginazione, oppure una vittoria, nel caso la giornata abbia
superato le aspettative. Milano è una promessa a se' stessi, che
tutti coloro che ogni giorno scendono da un treno in una delle sue
tante stazioni, trascinati da uno strano vortice, si impegnano a
mantenere. Non importa se ci riusciranno o meno, l'indomani ce ne
sarà un'altra uguale o migliore.
Io, anche se nella condizione di
naufrago, non sono esente dal fascino della metropoli, e il vortice
Milano risucchia anche me, al pari degli altri. Un naufrago, però,
non può permettersi di pensare alla promessa dell'indomani, deve
stare attento a mantenere quella dell'oggi.
Ho promesso a me stesso, oggi, di
trovare una rotta nuova, e così sia.
Scendo dal treno, poi dal trampolino
della scalinata della stazione centrale, che mi lancia in un tuffo
nello spazio aperto della metropoli. Con un'andatura che in provincia
è considerata “normale” mi incammino nella zona prospiciente la
stazione, e le persone mi sorpassano sfrecciando da ogni parte, con
l'andatura che a Milano è considerata “normale”. La mia relativa
lentezza viene scambiata per esitazione da qualcuno che nelle altrui
esitazioni, evidentemente, trova materia di business. Vengo
avvicinato da un tipo che mi propone ciò che lui chiama “paradiso”.
Trovare il paradiso in terra è un po' la rotta che tutti vorrebbero
seguire, ma c'è qualcosa in questo “paradiso” che mi convince
poco; il tipo mi mostra una bustina trasparente dove è contenuta
della polvere bianca, e col suo accento poco lombardo mi spiega che
per una trentina di euro potrò conoscere, previa inalazione, le
divine delizie dell'assoluto. Tento di spiegargli che, se per
conoscere “il paradiso” dovessimo metterla sul prezzo, allora i
monaci buddisti del Tibet, inalando sola aria, le divine delizie
dell'assoluto le assumono quotidianamente, gratis. Il tipo non si
capacita che ci sia in giro una banda di spacciatori concorrenti che
vende il “paradiso” a prezzi così stracciati. Se ne va tra lo
scoraggiato e l'incazzato. Tra me e me sorrido, mentre penso che ci
sono in giro naufraghi assai più naufraghi di me, e qui a Milano
basta adeguarsi all'andatura che viene considerata “normale” per
evitarli. Con l'adeguamento dell'andatura ai ritmi metropolitani, fra
l'altro, potrò raggiungere il cuore della città più velocemente.
Prima di arrivarci, però, decido che un buon caffè può essere
adatto per farmi sostenere il passo ai ritmi più elevati che la
situazione richiede. E' ormai l'ora dell'aperitivo quando entro in un
bar in un viale non distante dal centro. Il locale è frequentato da
varie categorie metropolitane. Qualche imprenditore in compagnia del
cliente, giornalisti in pausa aperitivo (la sesta della mattinata) in
compagnia di colleghi di altre testate, esponenti (non si capisce a
quale livello) di case di moda in compagnia della collezione
autunno/inverno prossimo, che indossano con ostentazione pretendendo
gli altrui commenti di approvazione. Vi sono poi clienti che
apparentemente non appartengono a nessuna particolare categoria
metropolitana, cui sembra essere compresa la mia categoria di
naufrago. Capisco che non è così quando ordino il mio caffè, il
che sembra un eresia dal momento che “questa sarebbe l'ora
dell'aperitivo”, come suggeriscono i tanti contenitori tutti pieni
di tartine e salatini che occupano l'intero bancone del bar. A questi
si aggiungono gli sguardi straniti del barista e dei clienti,
indipendentemente dalla loro categoria metropolitana di appartenenza.
A Milano non ci si aspetta che una persona “normale” si prenda la
briga di spezzare il ritmo di una giornata metropolitana. Su questo,
sui ritmi che scandiscono la vita quotidiana, la metropoli genera i
battiti del suo cuore. Puoi far parte della categoria che vuoi, puoi
andare dove vuoi, ma devi adeguarti al ritmo. I tuoi passi devono
seguire il ritmo, il tuo stomaco deve seguire il ritmo, i tuoi
pensieri e il tuo stato d'animo debbono adeguarsi al ritmo. Vivere
qui significa andare a ritmo con “il tutto metropolitano”, e il
ritmo non lo decidi tu, è qualcosa di molto più grande di te. Devi
imparare solo a lasciarti coinvolgere.
Non senza imbarazzo, mio e del barista,
ottengo il mio caffè, da bere non sul banco, ma in disparte.
Lo consumo in fretta (a ritmo), e
mentre il bar si fa una ragione delle stranezze di un naufrago, esco
e riprendo il mio ritmico cammino. Mentre i miei passi riflettono su
quale sia il ritmo giusto da seguire, la mia mente alambicca sui pro
e i contro dell'adeguarsi a un qualcosa che di per se' non mi
garantirebbe una navigazione ideale. Il vortice che mi ha risucchiato
qui mi vuole trattenere, ma una parte di me vorrebbe trovare un
vortice che da qui mi portasse via.
Mentre la mia mente cerca vortici, i
miei piedi ritmici mi portano nel centro della vorticosa metropoli,
dove il brulicare di metropolitani è reso più fitto dalla folla dei
turisti. Nel centro di Milano le attrattive non mancano: i turisti
sguazzano dalle bellezze di un Duomo dalle guglie che sembrano
afferrare il cielo, tirandolo giù per far sembrare la Madonnina
d'oro ancora più alta di lui, alle stranezze di variopinti
personaggi neo-punk che attraverso il trucco del loro viso e le loro
creste multicolori mostrano agli occhi della gente quanto può
sbizzarrirsi la voglia di non restare anonimi. Mi imbatto in un
capannello di persone che circonda il set di un servizio fotografico.
La moda è di casa qui a Milano. Riesco a farmi strada tra gli altri
come me incuriositi. Le modelle sono bellissime, potrei, come tutti
quelli vicini a me, star qui mesi ad ammirarle. Parlano francese.
Mentre aspettano di esibirsi in altri scatti, tra loro, si scambiano
opinioni sulla location. Piazza Duomo a Milano è carina, dicono, c'è
gente divertente, ma Parigi è un'altra cosa, alla fine concordano.
Concorderei anch'io, se mi notassero. In effetti Parigi è tutta
un'altra cosa: la sua bellezza “monumentale”, la sua cultura così
all'avanguardia, gli artisti dalle idee così libere. Sento la
presenza di un vortice. Forse quello che una parte di me si augurava
di trovare. Il vortice mi parla, suggerisce: via da qui, à Paris...
(Fine secondo episodio)
Marco Bertelli
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