domenica 17 febbraio 2013

Due dialoghi



La processione è ormai arrivata alla pira, la costruzione della “giustizia” terrena. Qui salirà il condannato, l'Eretico, per essere pubblicamente arso vivo. L'Eretico è passato tra due ali di folla, scortato da inespressivi frati, che meccanicamente recitano salmi. Tra la folla c'è chi inveisce, chi prega, chi gli sputa addosso e chi implora i santi di riversare pietà sull'anima del condannato. Non dice niente l'Eretico, la folla vede che tiene in bocca una mordacchia, che gli serra la lingua sanguinante, e pensa che non potrà far altro che urlare di dolore, di lì a poco, quando il rogo lo consumerà. L'esecutore dell'umana “giustizia” attende, alto e solenne, che gli venga consegnato il condannato, Eretico anche nel rifiutare gli ultimi sacramenti che gli vengono offerti dai frati confortatori del San Giovanni decollato: arso sì, ma intero, a dispetto di chi continua a vivere, se è possibile farlo, privo di testa.
Eccolo sul patibolo, il capo avvolto dentro un antico cappuccio, egli guarda avanti, dentro gli occhi del suo giustiziere:
“Avanti uomo, fa il tuo dovere”. Le parole del condannato escono inspiegabilmente chiare e limpide da una bocca che, fosse di qualsiasi altro umano, non potrebbe articolare sillabe comprensibili all'orecchio. Il boia trasecola, folgorato da quell'incredibile frase. La voce del condannato sgorga naturale come acqua di sorgente, fiera e profonda, e gli parla.
“Come puoi parlarmi da quella gola martoriata?” risponde, mentre il suo sguardo attonito si ferma in quello privo di paura del condannato.
“Ci sono voci che non hanno bisogno di una bocca per farsi udire, hanno tentato di far cessare la mia con sette anni di torture e minacce, ora usano mordacchia e fiamme per cercare di distruggerla, ma nulla possono, né potranno mai”, la voce del condannato risuona senza stenti.
“Tu sei quel pazzo che non abiurò, che disse ai cardinali inquisitori che non aveva paura e che a tremare davanti a te erano loro, ma ora sarai bruciato, così come lo saranno i tuoi libri, come fai a non avere paura per te e per la tua anima?” incalza il boia ricordando al frate il suo incombente destino.
“Il mio corpo teme il fuoco, ma la mia Anima ne aspetta il battesimo. Quanto ai miei scritti, molti di questi sono al sicuro, in posti dove l'ingiustizia non alberga, altri andranno persi, ma nemmeno di quelli si potrà soffocare la voce, assai più forte di quella che ora ti sta parlando”. E' la sentenza dell'Eretico, che tirando il fiato, ormai corto, riprende: “Il mio corpo ha lottato con Furore, ha perso la sua battaglia col suo tempo e con questi tempi, ma l'Anima che lo ha vestito trionferà oltre ogni tempo”. Conclude l'Eretico, mentre nei suoi occhi si vedono chiaramente le fiamme del rogo già accese. Il boia vede avvampare quelle fiamme, vive e ardenti, sente il loro calore arrivare fino al proprio corpo, anche se ha ancora stretta nella sua mano la torcia che ancora non ha toccato le sterpaglie che circondano la pira. Sente la paura nel corpo del condannato attingere il suo corpo, e con un gesto istintivo arretra qualche metro, mentre la torcia accesa gli sfugge di mano, andando a cadere sulle sterpaglie, dando fuoco al rogo. Una voce senza tempo dentro il fuoco lo spinge ancora indietro: “Ecco il mio Battesimo del Fuoco”, sente pronunciare, prima che le grida umane di un corpo che sta bruciando abbiano il sopravvento.

Il vecchio giace nel suo letto, il corpo decrepito e stanco. Molti anni aveva vissuto, molte morti aveva dovuto vedere, provocate per lo più dalla sua mano, che era quella della giustizia degli uomini. Ora stava vedendo la morte sua, chiaramente riflessa negli occhi umidi di lacrime del figlio seduto al suo capezzale. Non sente tristezza, solo la fatica di dover perdonare a se' stesso i molti crimini che la giustizia degli uomini aveva già perdonato a lui. Su tutti quel rogo del febbraio del 1600, a Campo de' Fiori, che non aveva più potuto scordare. Il figlio, invece, di quelle tante morti non si è mai macchiato, aveva potuto studiare, diventando, inopinatamente considerati i problemi di casta, un Notaio.
“Figlio mio” dice il vecchio, “grazie di essermi vicino nell'ora estrema, perchè la tua presenza solleva il peso della paura da queste povere e malandate membra”.
“Grazie a te, padre mio” dice il figlio, gli occhi annegati nelle lacrime, “ciò che sono lo devo solo a te, a quei libri “segreti”che mi portasti, dopo averli sottratti di nascosto al rogo che ne volevano fare”.
“Furono gli occhi di quello strano frate che mi fecero capire che in lui c'era qualcosa di più grande, e che non meritava di morire così. Io sapevo dove tenevano i libri che volevano bruciare nel rogo che seguiva il suo, ho portato via quelli che potevo. Sentivo che era giusto salvare almeno loro”. Dice il vecchio con voce sempre più flebile.
“Amministravi la giustizia degli uomini, ma in questo caso hai fatto la Giustizia Divina”, lo rassicura il figlio, “quei libri resteranno ancora a lungo proibiti, ma un giorno verranno visti sotto la loro vera Luce, e gli uomini potranno conoscere la Vita e il Pensiero del “Mercurio” che li ha scritti. Sino ad allora verranno custoditi da persone come me e dalle loro discendenze”.
Il vecchio sente svanire la Vita dal suo corpo, dolcemente, ma i suoi occhi si spalancano, mentre negli occhi del figlio le lacrime sembrano spegnersi, lasciando il posto alle fiamme, le stesse che egli non poteva dimenticare, quelle viste il 17 febbraio del 1600 negli occhi di quell'Eretico: 
Giordano Bruno. 


Marco Bertelli

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