L'Italia è una Repubblica (per niente
democratica) fondata sulla barzelletta.
A parte quanto scritto nella parentesi (considerazione personale), questa frase non è nuova. Molti comici di professione e alcuni dei cosiddetti “opinionisti” da carta stampata o da televisione, ne hanno fatto e ne fanno attualmente largo uso per apostrofare, ognuno a suo modo, la decadenza del nostro “bel paese”.
In effetti la barzelletta è un
qualcosa che fa parte della nostra cultura da secoli, è una
“disciplina” nella quale noi Italiani sappiamo eccellere anche
fuori dai patrii confini.A parte quanto scritto nella parentesi (considerazione personale), questa frase non è nuova. Molti comici di professione e alcuni dei cosiddetti “opinionisti” da carta stampata o da televisione, ne hanno fatto e ne fanno attualmente largo uso per apostrofare, ognuno a suo modo, la decadenza del nostro “bel paese”.
La barzelletta, come tutte le discipline artistiche, ha sviluppato negli anni la sua evoluzione, di pari passo con l'evoluzione sociale. Penso a come la barzelletta era concepita qualche decennio fa da mostri sacri come, ad esempio, Gino Bramieri, Walter Chiari, Carlo Dapporto, e a come è diventata oggi trasportata da un Beppe Grillo (la cui ironia è cambiata molto nel tempo, e se prima la gente sapeva di cosa rideva, oggi a mio avviso non lo capisce più), per finire nelle capaci mani di un ex presidente del consiglio che ci ha davvero deliziato coi suoi pezzi d'autore. Cito a titolo di esempi, la fantastica barzelletta “i ristoranti pieni” (che ha debellato la crisi economica nel 2011), e l'inarrivabile “la nipote di Moubarak” (strepitoso successo parlamentare, nonché intricatissimo caso giudiziario).
E' interessante, secondo me, notare
come sia cambiata nel tempo la reazione del pubblico a causa
dell'evoluzione della barzelletta: ai tempi di Bramieri le risate
erano assicurate, qualche smorfia cominciava a comparire sui sorrisi
sbiaditi del pubblico quando Grillo le raccontava nelle sue tournèe
teatrali (che non sono ancora finite), pochissimi ridono ogni volta
che viene raccontata “la nipote di Moubarak” (strano, perchè a
me sembra spassosissima).
In effetti ognuno ha un diverso senso
dell'ironia. Io ho il mio.La sapete l'ultima? Ci sono un fotografo, un pubblico ministero e un giornalista antimafia.
Il fotografo viene condannato, perchè ricatta i vip a cui scatta foto compromettenti. Fugge a bordo di una cinquecento e va in Portogallo, perchè ha paura del carcere, ma il navigatore satellitare della fiat gli scatta una foto compromettente e la manda all'interpol. Il fotografo si costituisce piangendo.
Il pubblico ministero fa un carrierone incredibile. Smantella traffici internazionali di droga, mette in galera boss della mafia del Brenta e della Magliana, smaschera reati sessuali in famiglie più o meno “perbene”. Poi, però, subisce anche lui come tanti gli effetti della crisi economica. Lo stipendio che percepisce, evidentemente, non gli basta più per i suoi “svaghi”. Decide così di sfruttare la sua posizione lavorativa per mantenere integro il suo conto corrente bancario. Lo beccano nel suo ufficio (andare in giro con la macchina, con quello che costa la benzina....) mentre riceve favori erotici in cambio di favori giudiziari a operatrici (la desinenza non è perfetta) del sesso. Viene rinchiuso nelle patrie galere dove probabilmente riprenderà le indagini sullo spaccio di droga, ma stavolta magari dovrà concedere, senza chiederlo, favori sessuali a persone che non sarà lui a scegliere. Beh, “la ruota gira” e girano anche i ruoli.
Il giornalista antimafia, invece, fa il suo lavoro. Solo quello. A dispetto degli schemi che seguono molti suoi stimati colleghi (osano chiamarsi così!), lui cerca i fatti. Probabilmente perchè crede che portandoli alla luce si possa far conoscere alla gente qualcosa di importante. A differenza dei suoi colleghi (!), lui non guarda in faccia a nessuno: si occupa di camorra e di mafia, quindi di mafiosi, di camorristi e di quello che fanno. La cosa non va affatto giù a coloro che sono oggetto dei suoi servizi. La vita di questo giornalista è in grave pericolo. Le forze dell'ordine gli forniscono una scorta. Un pugno di ragazzi addestrati per seguirlo e per proteggerlo da attentati e tentativi di omicidio. La sua vita è chiusa tra le sbarre di una decina di braccia nerborute, e si spera abbastanza forti da respingere attacchi omicidi.
Stop. Fine della barzelletta.
Ah, non capite la battuta finale? Beh,
in effetti non sono granchè bravo a raccontare barzellette, anche
perchè se lo fossi potrei aspirare alla carica di presidente del
consiglio. Comunque ve la spiego: tutti e tre ora
sono in una prigione. Però solo i primi due potranno uscirne, o per
evasione o perchè un giorno finiranno di scontare la loro pena, come
è giusto che sia.
Il terzo non potrà mai uscirne, a meno che un attentato camorrista non lo “liberi”, e non credo che l'interessato se lo auguri. Ma la vera “ironia” sta nel fatto che l'unico dei tre che dalla galera non potrà mai uscire, è anche l'unico dei tre che non ha mai commesso nessun reato.
Beh, se non è una barzelletta questa...
Se in tutto ciò non trovate nulla di comico, vi capisco. Del resto, come si diceva prima, le barzellette di oggi non fanno più ridere come quelle di una volta. O magari siamo noi che non sappiamo più ridere, forse perchè ci sono troppi barzellettieri in giro.
Nessuno bravo come il Gino Bramieri.
Marco Bertelli
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