Avrei preferito camminare qui da uomo
libero, senza queste due ali di folla urlante e questa compagnia di
frati “decollati”, penitenti di una colpa che io non conosco.
Mi domando chi sia oggi il condannato:
io (libero da ogni insegnamento), che mi appresto a salire sulla pira
pronta a divampare, o loro, quelli che mi scortano, recitando salmi
senza conoscerne il significato (come è stato loro insegnato), e
quelli che mi sputano addosso, perchè (così è stato loro
insegnato) l'Eretico solo di questo è degno.
La risposta si confonde tra gli insulti
e le orazioni che mi percuotono le orecchie con uguale vigore, senza
nemmeno scalfirle.
Campo de' Fiori è un luogo senza
tempo, in mezzo ad una città eterna.
Qui è normale che il corpo di un
“Eretico”, ridotto dalle fiamme in cenere, riacquisti le sue
sembianze in bronzo, modellato dalla Memoria travestita da artista.
Chi mi ha condannato sembra ignorare questo; o forse finge di
ignorarlo, preso com'è dalla smania di mantenere quel potere che
solo la paura può difendere, e colui che si lascia guidare dalla
paura è destinato, prima o poi, a farsi sopraffare dalla paura
stessa, è solo questione di tempo.
Ma tempo e paura appartengono
all'illusione dei “vivi”, io mi appresto a diventare eterno, cioè
senza tempo. Dopo aver vissuto in un corpo impregnato di Eroico
Furore, dopo aver lottato per affermare la mia Verità, dopo aver
amato a mio modo il mondo, dopo aver lasciato il segno, torno ad
essere l'Anima, immune da giudizi e condanne.
Campo de' Fiori mi accoglie nel suo
fuoco, ma non mi brucia. Quello che arde è solo quel corpo che i
condannati alla paura vedono ardere, ma non sono io. Io resto
scritto, io resto letto, io resto vivo. Chi mi ha voluto qui, oggi, a
Campo de' Fiori, arde nelle prigioni dello sfarzo, in palazzi fondati
sulla paura, pronti a diventare cenere, e non c'è alcuna ingiustizia
in tutto ciò.
Questa piazza senza tempo in mezzo ad
una città eterna, oggi è un rogo; ma quel che oggi è cenere, a
primavera sboccerà.
E' per questo che si chiama Campo de'
Fiori.
A Giordano Bruno.
Marco Bertelli
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